"La nostra è l'Isola della velocità perché così ha voluto la storia. É l'orgoglio di essere giamaicani che ci spinge a fare quello che facciamo in pista" . Usain Bolt è un campione planetario, ma in patria è ormai un idolo al pari e più di Bob Marley, l'icona del reggae scomparso nel 1981.
Il fenomeno dello sprint giamaicano, che nelle ultime stagioni ha messo in un angolo quello statunitense, sta nelle radici di questo popolo segnato dall'ignobile tratta degli schiavi, che dalla costa occidentale dell'Africa venivano stipati dentro improbabili imbarcazioni alla volta della Louisiana.
Ma prima di approdare in America, le navi negrerie facevano scalo proprio in Giamaica. Il re dello sprint è nato nei dintorni di Trelawny, nella provincia di cui è capitale Falmouth, che nel 18° secolo era il porto più importante della Giamaica, dove approdavano le navi provenienti dall'Africa. Gli schiavi migliori venivano venduti al mercato. I più resistenti e in salute restavano sull'Isola.
"Io sono un figlio di quegli schiavi. All'inizio del 19° secolo in tutta la provincia di Trelawny ce n'erano circa 30.000, un numero enorme all'epoca - racconta Bolt - Lavoravano tutti nelle piantagioni di canna da zucchero.Oggi Bolt ha comprato un appartamento a Kingston, dove vive con il fratello. Si allena tutti i giorni, la mattina presto su una pista in erba, e gira con due guardie del corpo. Ma quando può passa volentieri qualche giorno con i genitori. Ora ci si impiega di meno per arrivarci in macchina. Dopo i tre ori conquistati a Pechino gli abitanti di Sherwood Contents hanno chiesto al Governo di asfaltare la strada che collega a Falmouth e sono stati accontentati.
Nel 1832 ci fu una rivolta che fu sedata nel sangue. Sei anni dopo gli schiavi ottennero la libertà e alcuni di loro fondarono dei nuovi villaggi fuori Falmouth.
Io sono nato in uno di questi, il cui nome è Sherwood Contents. I miei genitori hanno un piccola casa tra le colline, in tutto saremo meno di 1000 abitanti."
Hanno chiesto pure di avere l'acqua potabile in casa e presto arriverà anche questa.
"Fa piacere vedere che con i miei record e delle mie vittorie possono essere utile a migliorare le condizioni di vita del mio popolo. Sono cosciente di essere un modello per i giovani giamaicani e cerco di non dimenticarlo mai"Bolt non si sente così diverso da loro. Estroverso e gioioso anche quando è impegnato a fare cose eccezionali.
"La mia gioventù è stata uguale a quella di tanti giamaicani. Giocavo a cricket e a calcio sull'erba dietro la mia scuola. Lo sprint è arrivato dopo. Quando la scuola ha fatto delle selezioni e io l'ho vinte, così a 14 anni sono andato a fare le finali studentesche nella Capitale e ho corso sulla pista in materiale sintetico. Dalle mie parti invece non l'hanno mai vista ."Dopo qualche garetta però, Usain voleva smettere e tornare a giocare a cricket. Poi l'incontro con Mills che gli ha cambiato la vita.
"Il mio primo allenatore non mi piaceva. Mi proibiva tutto, anche di ascoltare musica. Noi abbiamo la musica nel sangue. E il ballo è il linguaggio del corpo, ecco perché mi piace festeggiare con uno show in pista quando vinco. A noi piace stare in compagnia. La solitudine è noiosa, sempre"A 23 anni sono ancora molte le pagine della sua storia che devono ancora essere scritte.
"Io devo vincere e stupire per i prossimi dieci anni. Molti campioni giamaicani hanno vinto nel passato. Ma non abbastanza da farsi ricordare. Voglio che il mondo si ricordi di me e della Giamaica. Per sempre."
di Franco Fava
Corriere dello Sport
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