domenica 29 marzo 2020

Morandi signore degli anelli

" Final­mente è arrivata! Aspettavo questa medaglia d'oro da tanto tempo "
. Matteo Mo­randi da Vimercate conqui­sta l'oro negli anelli agli Eu­ropei di Birmingham e ri­scatta il quarto posto dello scorso anno nell'edizione milanese. Sergente del­l'Areonautica, 29 anni a ot­tobre, con il punteggio di 15.250 Morandi ha scaval­cato il francese Ait Said Sa­mir ( 15.100), che lo aveva preceduto in qualifica, e l'intramontabile Iordan Iovtchev, bronzo con 14.900.
L'ultimo azzurro a salire sul gradino più alto del po­dio europeo degli anelli era stato Andrea Coppolino, a Debrecen, nel 2005. Una staffetta ideale visto che Coppolino proprio quest'an­no ha annunciato il ritiro. E prima di lui dominatore as­soluto della specialità era stato Jury Chechi che a li­vello continentale aveva conquistato quattro titoli consecutivi, dal '90 al 96.
Due partecipazioni olim­piche e tre bronzi mondiali, sempre agli anelli (Debre­cen 2002, Anaheim 2003 e Melbourne 2005), Morandi è arrivato alla finale molto teso.
"Avevo voglia di dimo­strare il mio valore e di tor­nare in Italia con un buon risultato. In mattinata mi sentivo affaticato, poi par­tendo per ultimo ho accu­mulato tensione. Eppure lo Tsukahara teso (doppio te­so con un avvitamento in­dietro, ndr.) mi è venuto co­me meglio non poteva."
Matteo ha voluto ringra­ziare il suo allenatore, Mau­rizio Allievi (che è anche re­sponsabile delle squadre nazionali) e fare una dedica speciale.
"Questa medaglia è per la mia famiglia e a mia moglie Ilenia, che si lamenta che non le regalo mai i fiori. Adesso le porterò quel­li della ceri­monia di premiazione."
Per raggiungere Birimin­gham, Morandi ha affronta­to un viaggio di 21 ore con­secutive di pullman da Mi­lano con la squadra: il lungo trasferimento era termina­to martedì notte scorso. La decisione del viaggio­maratona è stata obbli­gata. Non c'erano voli, per lo stop al traffico ae­reo deciso per le conse­guenze dell'eruzione vulca­nica in Islanda e anche i tre­ni erano pieni.
Juniores - Marco Lodadio ha conquistato la medaglia di bronzo nella finale ju­niors del volteggio. Il ginna­sta dell'APD Vigna Pia di Roma con due salti quasi perfetti e il punteggio com­plessivo di 15.275 è riuscito a salire sul podio con 13 mil­lesimi di vantaggio sullo svizzero Michael Meier, fi­nendo alle spalle dell'arme­no Artur Davtyan, nuovo campione continentale con la media del 15.462, e dello spagnolo Fabian Gonzalez (15.350).
Corriere dello Sport Lunedì 26 Aprile 2010

domenica 24 ottobre 2010

Milos Krasic: mai visto così tanto talento … parola di Milan Jovanovic

È suo fratello, suo fratello maggiore, perché un'amicizia che nasce sotto un bombardamen­to diventa qualcosa di più, Milan e Milos lo sanno bene, ora che sono ancora inseparabili, undici anni dopo quel pomeriggio da incubo a Novi Sad quando si conobbero, nel pensiona­to dove vivano i ragazzi della Vojvodina, men­tre fuori il cielo era solcato dai caccia della Na­to e la città era devastata dalle bombe.
Inseparabili - Milan Jovanovic ha giocato, vissuto, riso, pian­to, insieme a Milos Krasic, dandogli consigli nei momenti cruciali della sua carriera e oggi prova una sincera gioia nel vederlo
"raccoglie­re il successo che merita nella Juventus."
Che sarebbe diventato un fuoriclasse da grande club, lui l'aveva capito al primo allenamento, quando un Krasic poco più che quindicenne aveva sparato un dribbling dei suoi incantan­dolo.
"Mai visto così tanto talento in un ragaz­zino. Lo capiva anche un cieco che sarebbe di­ventato un fenomeno."
Le loro vite hanno continuato a incrociarsi, do­po le partite nella Vojvodina, le stagioni a Mo­sca, in squadre diverse, ma nello stesso appar­tamento. E poi la Nazionale, dove i due sono ti­tolari fissi da un po' e trascinatori del buon umore dello spogliatoio. Parlando con Jovano­vic non si fatica a capirne il perché: a parole, come in campo, è un'inarrestabile forza della natura. Gioca nel Liverpool, dove l'aveva portato Rafa Benitez e dove Hodgson non lo sfrutta come potrebbe. Sogna l'Italia e, magari di riunirsi al suo amico di sempre:
"Lo so che è difficile, for­se impossibile, ma i desideri, anche quelli più folli bisogna sempre coltivarli, perché c'è sem­pre almeno una possibilità che si realizzino. E poi alla Juve troverei un altro amico: Aquila­ni! Nel poco tempo passato insieme a Liver­pool ho subito visto che aveva un talento enor­me, un talento da non sprecare. Non sapete quanto sono felice che giochi bene nella Juve. E se lo vedete, provate a chiedergli: adesso cre­di a quelli che ti diceva Jovanovic su Krasic? Chiedeteglielo e vediamo che faccia fa."
Milan Jovanovic, ci raccon­ta come ha conosciuto Milos Krasic e come siete diventa­ti amici per la pelle?
"Una scena che non scorderò mai. Era il 1999, eravamo nel pensionato dove vivevano i gio­vani della Vojvodina a Novi Sad. Milos era arrivato da po­chi giorni quando ci fu il primo bombardamento della Nato sulla città. Tutti i ragazzi scap­parono nei rifugi sotterranei, io rimasi nell'appartamento. Non so perché, a pensarci ora è una follia, ma allora volevo vedere cosa stava succedendo alla città e volevo stare davanti al­la la tv che dava aggiornamen­ti in tempo reale. Poi mi giro e vedo che non sono solo. C'era Milos, che era il più giovane di tutti, aveva 15 anni, ma era lì con me: voglio vedere anche io."
Non aveva paura?
"Certo che aveva paura. Avevo una paura fottuta anche io, quelle erano bombe vere, ma sfidavamo quella paura oppo­nendo tutto il coraggio che riu­scivamo a trovare. Forse pen­savamo che se fossimo stati ab­bastanza coraggiosi le bombe non sarebbero mai cadute sul nostro appartamento."
Quel pomeriggio vi ha lega­ti indissolubilmente?
"Quel pomeriggio è iniziata la nostra amicizia. La vita e il cal­cio l'hanno cementata negli an­ni: ora per me Milos è un fratel­lo minore, una persona di fa­miglia. D'altra parte fu proprio suo padre a dirgli:"
segui quel­lo che ti dice Milan
" quando lo portò alla Vojvodina di Novi Sad. La Stella Rossa l'aveva scartato dopo un provino, ma il padre non voleva tenerlo a Mi­trovica nel Kosovo, troppo peri­coloso allora. Così lo portò a Novi Sad dove giocava anche suo fratello maggiore. Il padre, quindi, mi conosceva e disse: "Stai con tuo fratello e segui i consigli di Jovanovic"".
e lei che consigli gli diede?
"Beh (ride) il primo è stato: non ascoltare gli allenatori. Non se­guire nulla di quello che ti di­cono. Non esattamente un con­siglio da persona saggia, no? Ma avevo una buona ragione."
Quale?
"La prima volta che l'ho visto su un campo da pallone ho ca­pito subito che era un grande. In quel preciso momento ho avuto la certezza, la certezza vi dico, che sarebbe diventato un grande campione. Mai visto un così cristallino talento in un giocatore. Era ed è probabil­mente uno dei talenti migliori degli ultimi vent'anni e non vo­levo che gli allenatori lo bru­ciassero con le loro manie tat­tiche del calcio a un tocco o due. Gli dicevo: vai Milos, sogna e dribbla, sogna e dribbla, non pensare al calcio a due tocchi, tu sei fatto per stupire."
Le ha dato retta...
"e io non sono sorpreso di quel­lo che sta facendo alla Juve. Anzi, sono qui che aspetto che vi mostri molto di più, per ora ha espresso solo una parte del suo talento. Vedrete, vi stupirà ancora. A voi...."
Cos'ha di così magico?
"Lui non deve pensare a quel­lo che fa: è tutto naturale, è tut­to istinto. Non perde tempo a ragionare, le gambe vanno da sole e sanno cosa fare: saltare l'uomo. E ora è anche un gioca­tore disciplinato dal punto di vista tattico, ora fa bene ad ascoltare l'allenatore. Ora che è diventato un fuoriclasse, non corre più il rischio di diventare un giocatore industriale come sarebbe diventato se dava ascolto agli allenatori d'allora."
Dopo le giovanili, nelle qua­li non avete mia giocato in­sieme, vi siete ritrovati nel­la prima squadra della Voj­vodina. Com'è stata la pri­ma volta con lui in campo?
"Ero emozionato per il mio amico. E lui lo era per il debut­to. Io avevo diciotto anni, lui se­dici. E, sapete, non era ancora così forte e veloce: lo è diventa­to con gli anni, allenandosi e facendo molta palestra. Poi sia­mo andati a Mosca e anche se giocavamo in due squadre di­verse, io nella Lokomotiv e lui nel Cska vivevamo pratica­mente nello stesso apparta­mento. Anche ora, in Naziona­le, dividiamo la stessa camera e non riesco mai a dormire."
Russa?
"No, ti fa ridere! Voi non pote­te ancora saperlo perché Milos non parla italiano, ma ha un senso dell'umorismo travol­gente. Scherza in continuazio­ne, tiene sempre lo spirito alto, è la locomotiva che traina il gruppo verso l'atmosfera giu­sta. É difficile spiegarvi le sue battute, tipico umorismo ser­bo, ma penso che riuscirà a far­vi ridere pure in italiano. Date­gli solo il tempo di impararlo."
Ci racconta qualcosa che non sappiamo di lui.
"Allora vi racconto quello che ho scoperto anche io quest'e­state al Mondiale. Dopo la sconfitta contro il Ghana ho co­nosciuto un altro Krasic. Era triste, arrabbiato, l'ho visto piangere per la delusione e l'ho visto tirare fuori tutti quei sen­timenti sul campo di allena­mento nei giorni successivi. Tutta la maledetta voglia di ri­vincita che aveva è riuscita a trasmetterla alla squadra co­me sa fare con il buon umore. E in campo, contro la Germa­nia, è stato pazzesco: sì, è vero, il gol di quella vittoria storica per tutto il nostro Paese l'ho se­gnato io, ma Milos li ha uccisi con la sua grinta e i suoi drib­bling. Ho letto le statistiche a fine match: Krasic ha saltato 12 volte Badstuber. Dodici! lì ho capito che Milos non aveva solo talento, aveva anche... le palle. Si dice così pure da voi?."
Può avere a che fare con il fatto di aver vissuto un'in­fanzia sotto le bombe?
"sì, quello ci ha fatto crescere più in fretta e ci ha dato più co­raggio: quando hai visto cade­re le bombe sulla tua città non è un avversario che ti può fare paura, anche se si chiama Messi o Ronaldo. Milos, io, e quelli della nostra generazio­ne sono diventati uomini pri­ma, ma non è un'esperienza che vorrei far ripetere a nessu­no. Rimpiango una gioventù più normale e chissenefrega diventare uomini prima. Io vo­glio che i miei figli e quelli di Milos crescano in un Paese in pace e senza bombe. Si può di­ventare uomini anche senza quelle, ne sono certo."
Guido Vaciago
Tutto Sport Domenica 24 Ottobre 2010

venerdì 12 febbraio 2010

La Vezzali ha tutto ma non le basta

Ce ne accorgiamo ogni quattro anni, quando c'è l'Olimpiade e sulla colonna dell'attivo, tra chi si­curamente non tradisce, inseriamo tutti il suo nome. Valentina Vezzali, ragazza di Jesi, una di noi che, se la vedi in giro, non diresti mai che è un atleta (e che atleta: la migliore al mondo per continuità di risul­tati al livello più alto), ha conquistato negli ultimi dieci anni la bellezza di quattro medaglie d'oro (tre individuali) e un bronzo nelle tre edizioni dei Giochi. E i podi non sono sei solo perchè ad Atene le tolse­ro dal programma la prova del fioretto femminile a squadre. Uniteci sette titoli mondiali (quattro individua­li) e due argenti, e in più otto Coppe del Mondo conquista­te, avendo in mezzo la mater­nità che ha donato a lei e a Mimmo Giugliano, suo mari­to, il piccolo Pietro.
Bene, questa è Valentina, che tredici anni fa ad Atlanta, alla sua prima Olimpiade, si rilassava leggendo To­polino e che lo compra ancora per leggerlo a Pietro. Che ha perso giovanissima il papà e che tira nel suo ricordo, avendo come talismano insostituibile la mamma Enrica che la segue ovunque. Anche que­sta è Valentina, ovviamente nata il 14 febbraio, 35 anni fa, che declina il rifugio nel cuore caldo della famiglia con la spietatezza (la chiamano anche il "cobra") con cui tocca ogni avversaria, dopo averla stregata con lunghe pause prima di cogliere il tem­po giusto per affondare la lama verso il corpetto di chi le sta davanti.
Trentacinque anni, età forse da pensione per una donna, anche mamma, che da venti stagioni domi­na sulle pedane di tutto il mondo e che non è anco­ra stufa, che trova sempre nel suo domani una sfida e un traguardo nuovi e tali da stimolarle un impegno che si fa sempre più duro perchè gli anni son quelli e passano pure per lei. Anche se l'età sembra solo sfiorarla: le ha dato un marito, un fi­glio, una nipote (Martina Pa­scucci) che, crescendo, mo­stra di seguire le sue stesse orme, ma non le ha tolto la voglia di confrontarsi e di scommettere giorno dopo giorno con e su sè stessa. L'obiettivo è Londra, per la quinta Olimpiade perso­nale e per il quarto oro individuale, così da straccia­re ogni altro record di longevità e di bravura asso­luta. Dopo, il ritiro? Forse sì, ma perchè non prova­re magari solo un anno anche con la spada, così, tan­to per togliersi lo sfizio?
Eccola Valentina, dolce e delicata, bella anche con i capelli appiccicati al volto togliendosi la masche­ra ma con la luce, in quegli occhi azzurri, che solo la vittoria sa regalare.

e' solo scherma, qualcuno dirà, e vincono sempre gli italiani. Non è così: è scherma, e questo signifi­ca tante cose: allenamento, riflessi, lezioni durissi­me e costanti, gare che durano una giornata intera in un seguirsi incessante di assalti sempre più im­pegnativi. Vince, in una concorrenza sempre più ag­guerrita e globale, chi ha i nervi più saldi, i muscoli più allenati, la mente più lucida e libera da angosce. Se poi si vince sempre, cannibalizzan­do una specialità, vuol dire che tutte queste doti, con tut­to quel lavoro, il campione, la campionessa, e cioè Valenti­na, le ha dentro da sempre, da quando, inseguendo il mito di Sparaciari prima e Trillini poi, cominciò a seguire gli insegnamenti di Ezio Triccoli, secondo padre prima ancora che mae­stro, e poi di Giulio Tomassini e, ora, di Stefano Ce­rioni, altro prodotto della formidabile scuola scher­mistica jesina. Valentina (in carriera 57 medaglie d'oro, 14 d'ar­gento, 8 di bronzo, oltre a 15 Coppe del Mondo vin­te con 65 successi di... tappa, un record assoluto, per ogni disciplina) ora è un po' più conosciuta: merito di Ballando sotto le stelle, e merito degli spot tele­visivi interpretati con il piccolo Pietro.
Ma il meglio di sè continua a darlo in pedana, regalandoci anco­ra momenti di grande intensità agonistica, spettaco­lare e, perchè no, di sano nazionalismo sportivo con quel suo grande e ineguagliabile "senso per il tem­po", schermistico si intende, perchè l'altro tempo, quello che scorre, per lei sembra restar sospeso.
di Mario Arceri
Corriere dello Sport Martedì 29 Dicembre 2009

giovedì 11 febbraio 2010

Alfa Romeo trionfa nella Sydney-Hobart


Il super­maxi Alfa Romeo, ti­monato da neozelan­dese Neville Crichton, si è aggiudicato la 65ª edizione della Rolex Sydney- Hobart, clas­sica della vela di 628 miglia marine ( 1160 km) tra l'Australia e la Tasmania. L'imbarcazione ha tagliato il traguardo dopo 2 giorni, 9 ore, 2 minuti e 10 se­condi di navigazione: Alfa Ro­meo, partita sabato scorso dal porto di Sydney, è sempre sta­ta al comando.
Alfa Romeo è uno scafo di 30,48 metri costruito nel 2005 su progetto dell'architetto na­vale Reichel Pugh che ha dise­gnato lo stesso anno Wild Oats Xi, allestito per l'armatore au­straliano Bob Oatley. Wild Oats è la barca detentrice del record della traversata, conseguito proprio nel 2005 con 1 giorno 18 ore, 40 minuti e 10 secondi ma nell'edizione di quest'anno ha dovuto lasciare il passo alla 'sorellà tagliando il traguardo con due ore di ritardo.
La Sydney-Hobart è una del­le più affascinanti classiche della vela d'altura che mette a dura prova le capacità degli equipaggi soprattutto nello stretto di Bass, il tratto di ma­re compreso tra l'Australia e la Tasmania, caratterizzato soli­tamente da forti venti e onde giganti. Nel corso della regata le barche si spingono fino al 43° parallelo meridionale, laddove soffiano i Quaranta Ruggenti, termine coniato dagli inglesi all'epoca dei grandi velieri che passavano per Capo Horn e che indica la forza dei venti che aumentano gradualmente man mano che si procede ver­so sud.
Erano cento le imbarcazioni iscritte quest'anno all'evento, di cui quattro maxi di 30,48 metri. Felice lo skipper di Alfa Ro­meo dopo aver passato la 'line honour', la linea del traguardo alle 22.02.10, ora locale, di ieri.
Corriere dello Sport Martedì 29 Dicembre 2009

mercoledì 10 febbraio 2010

Un uomo solo è al co­mando, la sua maglia è biancocele­ste, il suo nome è Fausto Coppi

fausto coppiQuando Coppi vinceva - e acca­deva spesso - l'Italia si ferma­va. Fortissimo su tutti i terreni, strada e pista, particolarmente do­tato anche per le prove a cronome­tro, Coppi non dava scampo agli av­versari. A voler essere pignoli, ma molto molto pignoli, non gradiva gli arrivi in volata. Meglio soli: andare in fuga esaltava lui e l'immagina­zione di chi veniva rapito dalle cro­nache della radio.
Nel 1940 Fausto Coppi vinse il Gi­ro d'Italia al suo debutto: non aveva ancora ventun anni, fu il vincitore più giovane 20 anni, 8 mesi e 25 giorni: sono passati quasi settan­t'anni e nessuno lo ha battuto. Non era partito per vincerlo, quel Giro: era partito per imparare dal suo ca­pitano Gino Bartali, nato cinque an­ni prima di lui. Tra l'altro Coppi sta­va svolgendo il servizio militare: gli avevano dato un congedo speciale per correre il Giro. Il 29 maggio vince, ovviamente per distacco, l'11ª tappa, Firenze-Modena andan­dosene tutto solo sull'Abetone e sot­to il diluvio: dà 3 minuti e 45 secon­di a Bizzi con Bartali terzo e in pre­da a un giorno di crisi nera. Indos­sa la maglia rosa e non la mollerà più per le restanti nove tappe fino a Milano.
Il 10 giugno l'Italia entra in guer­ra ma Coppi, militare di leva, rie­sce a non fermarsi. Il 7 novembre 1942 stabilisce il record dell'ora sulla pista del Vigorelli in un clima allucinante: Milano è a rischio bom­bardamenti, lui ha potuto sostenere pochi allenamenti dietro moto, per­ché il carburante è razionato, i suoi tifosi fremono per assistere all'impre­sa ma vengono in­gannati: agli orga­nizzatori viene im­posto di comunica­re un orario falso per evitare l'assem­bramento della fol­la e lui stabilisce il record con le tribune praticamente vuote. 45,871 metri, appena 31 più di Archambaud. Per poco ma è re­cord.
La guerra non guarda in faccia a nessuno: il 17 novembre Coppi si deve imbarcare e va in fanteria in Africa. Fatto prigioniero dagli in­glesi, riesce a tornare in Italia nel 1945 e giunge a Roma. La voce che Coppi sia nella Capitale giunge pro­prio al nostro giornale. Il "Corriere dello Sport" lo trova e il 9 aprile del 1945 Coppi partecipa a una esibi­zione al Velodromo Appio su una bicicletta fornita da un artigiano ro­mano: Nulli. Coppi è tornato Coppi: dopo Ro­ma vincerà Giri e Tour; la Milano­Sanremo; i giri di Lombardia, del­l'Emilia, della Romagna e del Ve­neto; la Freccia Vallone del '50 due settimane dopo aver vinto la Parigi­Roubaix: quando seppero che avrebbe corso lui, in 112 non partirono neppure.
Nel '46 vince la Milano-Sanremo: pronti via e subito in fuga. A Pavia il suo plotoncino ha 6 minuti di vantaggio; sul Turchino gli sta a ruota solo Teisseire; a Sanremo dà 14 minuti al francese e 18 e mez­zo al gruppo con Bartali. Comincia la rivalità tra i due e dalla radio si sente:
" Primo classificato Coppi, in attesa del secondo, trasmettiamo musica da ballo ."
La musica di Coppi è una sola: primo a trionfare sulla prima scala­ta all'Alpe d'Huez, nel Tour del 1952. Primo a centrare la doppietta Giro-Tour nello stesso anno. Primo dappertutto: gli mancava solo la maglia di campione del mondo, riu­scì a sfatare il sortilegio a 34 anni vincendo a Lugano nel '53.
Selezionare le sue imprese è cosa impossibile: qui ci piace ricordare la vittoria alla Cuneo-Pinerolo di cinquant'anni fa. Era il 1949, 32° Gi­ro d'Italia, 4° del dopoguerra: è il 10 giugno, terz'ultima tappa. Ci sono da scalare cinque salite: sulla pri­ma, Colle della Maddalena (per i francesi Col de Larche) Coppi è già solo: in fuga. Prima del via il diret­tore sportivo Tragella andò da Fau­sto e gli chiese quali cibi dovesse dare ai suoi gregari. La risposta di Coppi?
" Pane, salame e... lanterni­no."
Cioè: aveva in testa di attacca­re e di infliggere un distacco tale che gli altri, gregari suoi compresi, sarebbero arrivati con il buio.
Dopo il Colle della Maddalena, il Vars, l'Izoard, il Monginevro e il Sé­strieres: cinque colli, 254 chilome­tri totali, Coppi li fece diventare una cronometro. A Pinerolo, il 2°, anco­ra Bartali, arrivò a 11 minuti e 52 secondi; terzo Alfredo Martini, uni­co vivente, 89 anni.
Fu proprio in questa tappa che Mario Ferretti, cominciò la radio­cronaca così:
" Un uomo solo è al co­mando, la sua maglia è biancocele­ste, il suo nome è Fausto Coppi ."
di Nando Aruffo
Corriere dello Sport Mercoledì 23 Dicembre 2009

martedì 9 febbraio 2010

Coppi il mito ha 50 anni


La prima volta anche Orio Ver­gani ha difficoltà a dargli un nome.
"Fu allora, sotto la pioggia che veniva giù mescolata alla grandine, che io vidi venire al mondo Coppi... Le gambe che bi­lanciavano nelle curve, le ginoc­chia magre che giravano implaca­bili, come ignorando la fatica, vo­lava, letteralmente volava su per le dure scale del monte, fra il si­lenzio della folla che non sapeva chi fosse e come chiamarlo"
. É il 29 maggio del '40, undicesima tap­pa del Giro d'Italia, da Firenze a Modena, e il mondo si è appena accorto di quel corridore lungo e stretto al primo anno da professio­nista. Ma quel giorno, mentre il Giro celebra la nascita dell'uomo che rovescerà il ciclismo, sono al­tre le notizie che allarmano l'Ita­lia.
Nei titoli dei gior­nali la punzonatura della corsa è diven­tata un'adunata di partenza, i termini bellici stanno en­trando nel parlare comune, il ministe­ro dell'educazione ha disposto la fine anticipata del­l'anno scolastico e l'abolizione del­l'esame di maturità: dai banchi bi­sognerà passare in fretta al fronte. Mentre Coppi affronta le monta­gne in maglia rosa, il governo ra­ziona il sapone. Quando Coppi si arrampica sui tre valichi, Falzare­go, Pordoi e Sella, i giornali avver­tono di stare
" pronti ad obbedire quando l'ordine sa­rà dato "
. Il giorno che Coppi vince a Milano il suo primo Giro, Hitler aspetta soltanto che Musso­lini si decida di far­gli da gregario. L'ammiraglia ripor­ta in fretta il cam­pione a Castellania: deve andare in caserma, il Giro lo ha corso in licenza. Suo padre Domenico è morto poco tempo prima, sua ma­dre Angiolina aveva sognato per Fausto un futuro da garzone nella salumeria. Ma il destino gli aveva preparato un'altra strada.
Lo sport è un buon modo per di­strarre il Paese dalla guerra im­minente, e al mito nascente Coppi vengono concessi permessi e li­cenze. Mentre il mondo precipita, lui fa l'eroe in bicicletta: corre e ovviamente vince. Ma anche per Fausto arriverà il momento di en­trare in guerra: nel '43 si ritrova in Tunisia con quelli che dovreb­bero fermare l'avanzata di Mon­tgomery. Lo fanno prigioniero, ri­marrà in un campo fino al febbra­io del '45. Due pensieri fissi: la no­stalgia di casa e la voglia di torna­re a correre. Lo fa­rà, e cambierà per sempre il ciclismo e il nostro modo di guardarlo.
Nessun altro sport assomiglia a un la­voro come le corse in bicicletta, e per l'Italia che deve ti­rarsi fuori dalla guerra Fausto Coppi che parte da lontano e vin­ce, usando il suo talento ma met­tendoci anche gambe e fatica, è il simbolo della ricostruzione, è il segno che ce la possiamo fare an­che quando tutto attorno a noi sembra crollato.
Nella leggenda è rimasto appa­iato a Bartali, tanto che sembra impossibile raccon­tare di uno a pre­scindere dal suo contrario, nella re­altà invece Coppi è stato sempre solo, lontano, in fuga. Per la sua maniera di correre. Per come ha vinto, quasi sem­pre per distacco, per indole e an­che per non doverci provare in mezzo agli altri, magari in volata. Per come è vissuto, sempre par­tendo da lontano, scegliendo la strada più complicata e seguendo le regole della passione. E certo anche per come è morto, così pre­sto, una mattina di cinquant'anni fa, in un letto dell'ospedale di Tor­tona. Andando a mettersi una vol­ta per sempre là dove tutti lo ri­cordiamo, solo al comando.
di Alessandra Giardini
Corriere dello Sport Mercoledì 23 Dicembre 2009

lunedì 1 febbraio 2010

Jonathan Edwards: lo stato dell'arte nel salto triplo

Jonathan Edwards
Jonathan Edwards, saltatore britannico, è stato ed è tuttora il più grande specialista del triplo al mondo. Ma, ol­tre ai suoi fantastici balzi nel periodo a ca­vallo tra gli anni ' 90 e 2000, è passato alla sto­ria per le sue convinzio­ni religiose che gli vie­tavano di scendere in pedana la domenica. Fi­glio di un pastore angli­cano dell'ala evangelica della Chiesa d'Inghil­terra, nel primo periodo della carriera Edwards seguiva alla lettera l'in­segnamento diffuso nel protestantesimo anglo­sassone. La stessa con- vinzione che impedì al protagonista del famoso film " Momenti di Glo­ria", Eric Liddell, di scendere in pista al­l'Olimpiade di Parigi 1924.
Per questo Edwards rifiutò la partecipazione ai Mondiali di Tokyo 1991, pur essendo favo­rito per una medaglia: la qualificazione era in programma di domeni­ca. Dopo due anni di ri­flessione e consultazio­ni con i genitori, il salta­tore si convinse a met­tere da parte il divieto:
" Se Dio mi ha dato que­sta dote fisica, è perché io possa esaltare il suo dono "
. E anche questa volta applicò alla lette­ra la sua ferma convin­zione. Così ai Mondiali di Stoccarda nel 1993 salì per la prima volta sul podio conquistando il bronzo. Ma il meglio sarebbe arrivato subito dopo ai Mondiali di Go­teborg 1995 quando fis­sò il record del mondo a uno strepitoso 18,29 metri. Limite ancora in­violato. La consacrazio­ne olimpica arrivò nel 2000 a Sydney. Nel 2007 la crisi di fede e i primi dubbi. In una intervista fece sapere di essersi allontanato da Dio.
f.fa.
Corriere dello Sport Venerdì 18 Dicembre 2009



domenica 31 gennaio 2010

Didier Cuche: 35 anni e non sentirli

Il 13 marzo dell'inverno scorso. Ultimo slalom gigante maschile della stagione sulle nevi scandinave di Are. Ultime emo­zioni in Svezia, con l'austriaco Benjamin Raich con le mani già sulla classifica gene­rale di Coppa del Mondo. Ma sulla pista di Svezia è lo svizzero Didier Cuche a dare spettacolo con una esibizione fuori ordinan­za. Grazie alla quale conquista il titolo di specialità alla veneranda età di 35 anni. In corsa per un posto sul podio anche il nostro Max Blardone. Ma l'azzurro, dopo aver per­so terreno sotto i fiocchi umidi della secon­da manche, si era precluso la possibilità di salire su un gradino del podio del gigante.
Il leone rossocrociato, classe 1974 e già argento olimpico nel lontano 1998 a Nagano, pochi giorni prima era diventato lo sciatore più vecchio a vincere un titolo iridato. Sul­la pista di Are, appena uscito dal cancellet­to per la prima manche, l'elvetico perde il bastoncino sinistro. ma, come fosse la cosa più naturale di questo mondo, continua a fi­lare tra i paletti senza sbavature fin sull'ar­rivo. I suoi avversari sono increduli. Una di­scesa così non l'avevano mai vista prima.
Nella seconda manche, l'abilità e la buona sorte, non sono da meno. Con le mani ben serrate sull'impugnatura dei due bastonci­ni stavolta, Didier non si fa frenare dalla fit­ta nevicata. Sul traguardo conserva la prima posizione cogliendo un successo insperato nonostante una lunga e blasonata carriera.
f.fa.
Corriere dello Sport Martedì 15 Dicembre 2009

sabato 30 gennaio 2010

Michael Phelps: la farfalla che vola in piscina

Al Cube di Pechino tifo e pronostici erano tutti per lui. Per Michael Phelps e il suo fantastico tentativo di superare il bottino re­cord di sette medaglie d'oro stabilito da Mark Spitz ai Giochi di Monaco '72. Il 14 agosto lo statunitense di Baltimora si presentò in pisci­na che aveva già vinto tre titoli. Una giornata importante con le finali dei 200 farfalla e la 4x200. Ancora due vittorie avrebbero signifi­cato una seria ipoteca al raggiungimento del­l'obiettivo otto ori. Nella finale dei 200 però aveva un avversa­rio temibile, l'unico in grado di infrangere il suo sogno, l'ungherese Laszlo Cseh. Ma Phelps non aveva messo in conto che, oltre a Laszlo, avrebbe dovuto battersi anche contro un bana­le imprevisto. In acqua i suoi occhialini si so­no a poco a poco riempiti d'acqua. All'ultima virata, con l'ungherese ancora incollato all sua scia, Phelps non vedeva più nulla davanti a sé.
" Era come nuotare nel buio e all'ultima vira­ta non vedevo più il muro "
, dirà dopo. Ma è stato a quel punto che ha avuto l'intuizione di strapparli via e salvare il quarto oro.
f.fa.
Corriere dello Sport Martedì 15 Dicembre 2009

domenica 24 gennaio 2010

Gilles Villeneuve ... l'aviatore

Lo chiamavano l'Aviatore, e non era un complimento. Lo chiamavano così perché nel 1977, alla sua seconda gara sulla Ferrari, si era alzato in volo con la macchina ed era at­terrato su due spettatori che passeggiavano in zona vietata, uccidendoli. Poi, certo, il corag­gio e il talento di Gilles Villeneuve avevano avuto la meglio e purificato il soprannome da quell'origine malefica. Era rimasto l'Aviato­re senza doversene più vergognare.
Quel giorno, il 27 settembre 1981, il canade­se correva in casa, sul circuito che più tardi avrebbe preso il suo nome. Partiva lontano e cominciò a rimontare, sorpasso dopo sorpas­so, e sembrava tenuto a terra solo dalla piog­gia battente. mentre Laffite, che poi avrebbe vinto, con la Ligier cercava di sfuggire all'in­seguimento. Sorpasso dopo sorpasso, e non possono riuscire tutti alla perfezione. Ville­neuve tamponò la March di Daly e l'ala ante­riore della Ferrari scavalcò il muso della vet­tura bloccandosi in diagonale contro l'abita­colo. Gilles non vedeva nullla oltre quella bar­riera, avrebbe dovuto fermarsi e naturalmen­te non lo fece, figuriamoci, dopo tutto quel la­voro. Andò avanti finché la corsa venne sospesa quando le due ore di tempo massimo regolamentari finirono. Lui si trovava terzo dietro Watson. Accecato e fradicio, ma terzo. Fu il suo penultimo podio. L'ultimo arrivò l'anno dopo a Imola. Due settimane più tardi, a Zolder, l'Aviatore decollò per sempre.
di Marco Evangelisti

venerdì 22 gennaio 2010

Alessan­dro Lambruschini e Francesco Panetta ad Helsinki

Campione del mondo sulle siepi a Roma '87, Francesco Panetta si presentò agli Europei di Helsinki del 1994 che era già a fine carrie­ra, quasi un comprimario rispetto ad Alessan­dro Lambruschini e Angelo Carosi. Quattro an­ni prima, alla rassegna continentale di Spala­to, Panetta aveva vinto l'oro e Lambruschini il bronzo.
Nella finale di Helsinki tutti e tre rag­giunsero la finale. Ma dopo solo due giri Lambruschini fu vitti­ma di una caduta subito dopo aver saltata la ri­viera dell'acqua.
In quel momento Panetta ave­va già perso qualche metro dal toscano di Fu­cecchio. Con un gesto da libro cuore, si ferma e corre in soccorso dell'amico-rivale aiutando­lo a rialzarsi. Non solo, lo trainò per riportarlo nel gruppetto di testa.
Grazie a quel gesto Lam­bruschini riuscì a conquistare un titolo conti­nentale che sembrava ormai compromesso. Mentre Panetta finì invece lontano dal podio, ma ancora oggi quell'episodio è ricordato più delle sue numerose medaglie. Lo sportivissimo pubblico dell'Olimpico di Helsinki coprì en­trambi di applausi carichi di riconoscenza.

mercoledì 20 gennaio 2010

Federica Pellegrini: quei baci al cielo


Federica Pellegrini, final­mente tutti i dubbi sono fugati?
"Quella di oggi è una piccola conferma. Il tempo che ho fatto però non c'entra nulla con il tempo della vasca lunga, an­zi direi che ho nuotato male. Se Alberto fosse qui mi avrebbe già cazziata."
Ha pensato a Castagnetti durante la gara?
"Sempre, dall'inizio alla fine".
Come si sentiva prima di scendere in vasca?
"Non molto euforica. Le sensazioni non erano positive né negative. Mi è succes­so anche a Roma, ormai lo so che è cosi. Mi scocca la scintilla solo trenta secon­di prima di salire sul bloc­chetto. A Luca ( Marin) l'­ ho detto e lui mi ha sgri­data ."
Temeva di non farcela?
"sì, sono arrivata a Istan­bul convinta di essere in una condizione migliore, poi qui mi so­no resa conto di non essere per niente in forma. Nelle batterie della mattina ho nuotato male, ho affrettato la nuotata, così in finale ho cercato una nuotata più lunga ed è andata molto meglio."
e' una medaglia importante quella conquistata qui?
" é fondamentale perché rappresenta una conferma arrivata dopo un periodo bruttissimo in cui ho per­so due persone fondamen­tali nella mia vita, ma è anche un successo che mi stimola ad andare avanti."
Che tattica di gara ha usato?
" Sapevo che le avversarie sarebbero passate veloci con me, senza temere la seconda parte di gara. Così nella prima parte ho fatto come in batteria, poi ho accelerato."
Poco dopo essere uscita dall'acqua ha pianto.
"sì perché avrei voluto che Alberto fos­se qui in questo momento e invece non c'è più. Ma ho pianto anche un po' di fe­licità, per avercela fatta."
a fine gara ha mandato due baci ver­so il cielo. A chi erano rivolti?
"Ad Alberto e a mia nonna Ines".
Ha mai temuto che con la perdita di Castagnetti l'incantesimo si potesse rompere?
"sì, assolutamente. Ho pensato anche al ritiro, ma per pochissimo tempo, perché non sarebbe stato quello che voleva lui. E nemmeno io lo volevo. Lui aveva altri obiettivi per me, voleva che facessi 100, 200, 400 e 800 a Londra."
Che ruolo ha avuto il nuovo allenato­re, Stefano Morini, nella conquista di questo titolo?
"Lui è stato molto importante nell'ulti­mo mese. Abbiamo ricominciato a fare chilometri su chilometri a tempi buo­nissimi, che non avevo mai fatto l'inver­no passato. Ha dato un grande contri­buto ."
Sentiva una pressione molto forte pri­ma di questa gara?
"Dopo Roma credo che nulla mi potrà più spaventare. Al Mondiale la tensione era talmente forte da farmi venire la febbre prima di arrivare al blocchetto. Era tutta tensione nervosa perché ero arrivata a quell'evento al massimo del­la forma. E poi c'era Alberto."
Non si sta abituando troppo a questi record?
"Forse sì, nel senso che se domani do­vessi vincere una gara senza record mi scoccerebbe molto. Però non dimenti­chiamo che da gennaio si ritorna al co­stumino e sarà veramente dura ripete­re certi tempi. Si può dire che da genna­io si ricomincia tutto da capo."
Pensa che i record rimarrano a lun­go?
"Sono convinta che bisognerà arrivare alle Olimpiadi di Londra 2012 prima di vedere i tempi che si vedono adesso." [...]
Corriere dello Sport Lunedì 14 Dicembre 2009



martedì 19 gennaio 2010

Alessia Filippi stop dopo Londra 2012

"Il progetto è fare un bel­l'Europeo a Budapest l'anno prossimo, Poi c'è un Mondiale di mezzo e infine Londra 2012. Così si chiude in bellezza." Cosa si chiude?
" La carriera. Basta competizioni, ba­sta nuoto."
Alessia Filippi parla veloce, come al solito e come al solito non ha esitazioni. Ma quello che dice, qui agli Europei in vasca corta di Istanbul, non lo aveva det­to prima e quello che si percepisce è che la decisione sia stata meditata.
Dopo il Mondiale di Roma ( oro nei 1500 e bronzo negli 800), Alessia si è pre­sa del tempo per sé stessa tra vacanze e piccole operazioni (le hanno estratto due denti del giudizio). A questi Europei in vasca corta arriva con una preparazione parziale e due cicli di atibiotici che l'han­no debilitata nel fisico. Da qui la decisio­ne dell'ultimo minuto di rinunciare agli 800, la gara che un anno fa, a Rijeka, le aveva dato oro e record del mondo.
Programma ridotto quindi: forse i 400 stile libero sabato (che la metterebbero in competizione con Federica Pellegri­ni), domenica poi i 200 dorso e i 400 mi­sti se le due batterie non saranno troppo ravvicinate. Il progetto è a lungo termi­ne e racconta di obiettivi ambiziosi e di un cerchio di cui si intravede una chiusu­ra per una delle capionesse più di talen­to che il nuoto italiano abbia mai avuto.
a Londra Alessia Filippi avrà 25 anni, non è presto per pensare di smettere?
"sì, sarò ancora giovane ma ho voglia di guardare il mondo fuori dal nuoto. So­no una persona che ama i cambiamenti, la monotonia non mi piace. Noi nuotato­ri siamo chiusi in una campana, siamo molto protetti, questo a volte pesa."
Come si vede fuori dal nuoto?
" Mi piacerebbe prendere una laurea, per questo mi sono iscritta allo Iusm (l'Istituto di Scienze Motorie dell'Univer­sità di Roma, ndr). Poi potrei prendere in gestione un impianto sportivo."
Torniamo a oggi, anzi a ieri, al mon­diale di Roma. Cose le ha lasciato?
"Roma è stata un'emozione fortissima. Per questo parlavo di una nuova Alessia, ero molto carica volevo a tutti i costi vin­cere un mondiale in casa."
Dopo il mondiale, la scomparsa di Ca­stagnetti. Cosa pensa di questa nuova organizzazione che si è data la naziona­le?
"Alberto manca. Era il punto di riferi­mento. Aveva una parola di conforto se qualcosa non andava. Sapeva caricarti. Quando c'era lui si sentiva un'atmosfera particolare, senza nulla togliere a Marco Bonifazi e a i tecnici che seguono ora la nazionale."
Nel 2008 si è allenata a Verona per un anno. Poi è tornata a Roma per prepara­re il Mondiale. Non pensa che allenarsi lì, con Federica Pellegrini, sarebbe di giovamento a tutte e due, anche per la competizione che si potrebbe creare?
"In quel periodo ho un po' sofferto la lontananza da Roma. Ora mi peserebbe ancora di più. No, credo che stare nella mia città mi dia la tranquillità di cui ho bisogno "
.
Un anno fa a Rijeka vinceva l'oro. Co­me mai ha deciso di non gareggiare su quella distanza quest'anno e di fare inve­ce i 400?
" Perché sono arrivata qui con poca preparazione e perchè fare i 400 mi ser­ve per misurarmi sulla velocità visto che gli 800 sono ormai diventati una gara ve­loce. Basta ricordare la finale di Roma."
Quindi gli 800 rimangono il suo obiet­tivo?
"Certo, a Budapest e poi a Londra do­ve fra l'altro, essendo un'Olimpiade, i 1500 non ci saranno. Budapest per me è un traguardo importante. Fu lì, nel 2006, che vinsi il mio primo oro europeo, nei 400 misti. Ci tengo molto a fare bene. Poi c'è il progetto di riprendere i 200 dorso, il mio primo amore con cui vinsi l'oro ai Giochi del Mediterraneo in Spagna, nel 2005."
Insomma tanta carne al fuoco. E le ga­re di Londra?
"Bella domanda, chi lo sa. L'ho detto, mi piacciono i cambiamenti e nel nuoto ho la fortuna di poter scegliere."
Attilio Crea
Corriere dello Sport Venerdì 11 Dicembre 2009

sabato 16 gennaio 2010

Mario Balotelli: campione nerazzurro in erba

Un mix così lo hanno solo i fuoriclasse: gran fisico e tecnica sopraf­fina. In due parole, un giocatore comple­to. Mario Balotelli è tutto questo, la mi­glior gioventù del calcio ita­liano, un patrimonio di ine­stimabile valore del quale Massimo Moratti non si vuole privare. Sa che sarà difficile trovare un altro uguale a Supermario, uno che riesca a coniugare l'esplosività alla bravura nel carezzare il pallone, la velocità alla tecnica. Merce rara.
Atleta - Un fisico così lo hanno quelli che fanno atletica: 189 centimetri di al­tezza, sprint, velocità e accelerazione. Mario Balotelli è un centometrista pre­stato al calcio, un atleta a tutto tondo che nell'ultimo anno ha visto scendere il suo peso da 88 chilogrammi fino a 84- 85. Questo non è bastato a firmare un armi­stizio con Mourinho che ha spesso da ri­dire con lui imputandogli una scarsa pro­pensione all'allenamento e a fare una vi­ta da atleta professionista. L'ultimo scon­tro mercoledì sera, dopo la sostituzione per crampi, dovuta secondo lo Special One alla poca intensità che il ragazzo mostra durante la settimana, ma anche a un regime alimentare che non reputa adatto.
In campo Balotelli impegna i difensori avversari non solo con la sua tecnica, ma anche con il fisico. I suoi 189 centimetri gli permettono pure di fare il centravan­ti e di fungere da punto di riferimento per i compagni che, nel momento di dif­ficoltà, lo cercano con lanci lunghi chie­dendogli di tenere palla e di far salire la squadra. É successo per esempio a Ge­nova, nel 5-0 contro i rossoblù di Gaspe­rini. Il colpo di testa non è la specialità della casa, ma ha dimostrato di saper sfruttare i centimetri che madre natura gli ha messo a disposizione. L'ultima vol­ta è successo in occasione del momentaneo 2-1 a Bo­logna. L'impianto geneti­co ereditato dalle origini ghanesi dei suoi genitori naturali gli consente di unire rapidità e forza. Non a caso i test di veloci­tà che venivano svolti ad Appiano Gentile lo indica­vano tra i primi tre della squadra sui 20 metri.
Ma c'è di più: nel test di condiziona­mento, che misura la capacità di salto da fermo tenendo le mani distese sui fian­chi, Mario raggiungeva i 52 centimetri, una misura decisamente ragguardevole. Ancora: in palestra alla pressa caricava con 140 chilogrammi per gamba. Niente male per un ragazzo di 18-19 anni. Infi­ne il piede: indossa una scarpa numero 45. Non sarà il 46 di Ibrahimovic, ma ci siamo quasi. C'erano una volta gli attac­canti dai piedi piccoli?
Tecnica - Il pezzo forte è il tiro, secco e preciso. Il meglio lo fa vedere in occa­sione dei calci piazzati: in Primavera su punizione era una ' sentenzà, ma dopo mercoledì e quella punizione da brividi contro il Rubin avrà scalato posizioni an­che tra gli specialisti di Mourinho. Poi il dribbling: Mario non ha paura di tentar­lo e punta gli avversari a volte ritardan­do (troppo) il passaggio per i compagni. Del resto personalità, genialità e sfronta­tezza non gli mancano. Il repertorio è completato dalle giocate da artista: per informazioni riguardarsi il colpo di tac­co- assist per Eto'o.
and.ram.

giovedì 14 gennaio 2010

Intervista a Mauro Bergamasco


Mauro, ormai è diventato parigino?
"Vivo in Francia dal 2003, a Pari­gi. Non proprio in centro, sarebbe trop­po caotico. Però frequento abbastanza il centro. É una bella opportunità, non capita a tutti la fortuna di vivere una città così bella."
e' vero che suo fratello Mirco sta per sposarsi? Sarete costretti a separar­vi...
"Si sposa? - ride - No, non si sposa. Per ora restiamo insieme, prima o poi la separazione avverrà."
Tutto è iniziato facendo la lotta da bambini, anche con vostro padre rug­bista?
"Facevamo la lotta, come tutti i fratel­li. Non tantissimo però, perché avendo iniziato molto presto con il rugby, sfo­gavamo i bollenti spiriti in campo."
Non siete mai stati gelosi o invidiosi uno dell'altro?
"No, la gelosia è un sentimento negati­vo ."
Chi è il più bello?
"Lui. O meglio, diciamo che Mirco at­tira di più le donne."
e chi è il più simpatico?
"Io sono simpaticissimo".
Cosa le manca dell'Italia?
"Gli amici e la famiglia".
Mantiene i contatti con e-mail, chat o telefono?
"Sono un po' orso. Non ritengo un se­gno di legame vero avere contatti fre­quenti. Le relazioni importanti vanno avanti senza continue conferme."
Frequenta francesi o italiani?
"Gli uni e gli altri, ma si parla sempre in francese."
Ha studiato la lingua, la conosce bene?
"Ho preso qualche lezione all'inizio, ma faccio ancora qualche errore nello scritto."
Cosa fa quando non si allena?
"Una vita normale: mi occupo della ca­sa, se si rompe una cosa provo ad ag­giustarla io. Faccio giardinaggio, colti­vo i miei interessi."
In Francia il rugby è uno sport molto seguito, siete considerati delle star?
"Non subiamo assalti dei tifosi, anche perché siamo molto disponibili. E tut­to finisce subito dopo la partita."
e' più buona la cucina francese o quel­la italiana?
"Preferisco quella italiana. Però la cu­cina casalinga francese è molto buona, il bollito per esempio mi piace. E poi adoro le ostriche e tutti i crostacei."
Va spesso al ristorante?
"Cerco di mangiare soprattutto a casa. Me la cavo a cucinare, quando ho tem­po mi ci dedico. Cucino bene risotti e pasta."
Quanta pasta mangia?
"Dipende, se è vicino l'allenamento, per me e mio fratello ne cucino anche 300 grammi."
Ha paura degli infortuni?
"é un pensiero che è meglio non ave­re, rischierebbe di influenzare negati­vamente. Può succedere, si sa, ma non ci si pensa."
e' fidanzato?
"sì, no cioè... preferisco non parlarne."
Qual è il suo ideale di donna?
"Mi piacciono le more".
Italiana o francese?
"Le italiane non hanno nulla da invi­diare alle francesi che però sono mol­to belle."
L'omosessualità è diffusa nel rugby?
"Io sinceramente non ho mai conosciu­to omosessuali, mai incontrati. Nello sport c'è, ma forse è taciuta perché si è più esposti e allora la si vive in modo discreto."
La Francia è più libera da questo pun­to di vista?
"i francesi sono più aperti. Parigi però merita un discorso a parte perché, co­me dicono qua, Parigi non è la Francia e la Francia non è Parigi. É una gran­de metropoli, c'è un numero alto di razze e culture."
Italiani "all'antica"?
"Sul sesso siamo conservatori o voglia­mo apparire tali, opponendoci poi a ciò che conosciamo."
L'omofobia da noi è un tema molto di­scusso di questi tempi e soprattutto un problema che non trova soluzione.
"é un tema particolare. Io credo che il confine tra quello che si vuole e quello che si può mostrare e sentire sia sotti­le ."
Avere la chiesa sul territorio è un osta­colo a una piena libertà sessuale?
"Credo che rallenti i processi. Quello che c'è ed esiste lo sanno tutti. Il Vati­cano cerca di fare da filtro e serve ad esaltare lo spirito conservatore e fre­nare il processo di conoscenza."
Anche sul discorso della pillola abor­tiva, la Francia sembra più avanti e più consapevole.
"Su questo tema farei attenzione. Sono d'accordo che in una gravidanza avan­zata sia meglio un aborto meno invasi­vo, ma è vero anche che serve un'assi­stenza medica."
Lei pensa mai a un figlio?
"sì, ma servono le condizioni".
Torna spesso in Italia?
"Mi sento profondamente italiano. In Italia torno poco e quando torno le priorità sono la famiglia e i parenti."
Da italiano che vive all'estero, si sen­te mai in imbarazzo per alcuni com­portamenti dei nostri governanti?
"Una persona va giudicata per quello che fa nel sociale, per il suo lavoro. Il resto è ipocrisia. Se un politico lavora bene dovrebbe essere giudicato per quello, ma è anche vero che dovrebbe cercare di essere più discreto nel pri­vato. A me interessa quello che fa per il Paese, non quello che fa nella sua vi­ta privata, però non dovrebbe farsi
beccare ."
Pensa al caso Marrazzo?
"Anche. Lui l'ha fatta grossa, ma la pri­ma foto che si è vista era quella di Mar­razzo col trans; insomma c'è una sorta di oltraggio alla persona. Poi invece viene fuori di tutto e ti rendi conto che la questione è molto più complicata e inquietante, con tutte le morti che ci sono state. Purtroppo prima di ogni co­sa c'è la tendenza a essere distruttivi. Con questo non giustifico il fatto, ma dico che dovremmo essere messi a co­noscenza delle cose che contano e non se Marrazzo sia in ritiro a espiare o se abbia chiesto perdono al Papa. Sarà poi vero? Lo ha detto lui o qualcuno per lui? e soprattutto, Marrazzo ha chiesto di renderlo pubblico?"
Lei è credente?
"sì, ma non frequento molto la chiesa."
a 30 anni, a che punto è della sua car­riera?
"Sono le mie ultime stagioni: 4-5- anni all'apice, poi basta."
e come vive questo periodo della sua vita?
"Come un trentenne che ha voglia di imparare e che non rinnega niente di quello che ha fatto."
Cosa le manca?
"Vincere una coppa europea e portare al gruppo italiano il mio contributo per un'evoluzione più ampia ed evidente."
Con la Nazionale siete stati a far visi­ta ai terremotati dell'Aquila, in Abruz­zo, che effetto le ha fatto?
"Abbiamo visto le casette, come le chiamano loro, che hanno consegnato ai terremotati, sono fatte bene. Abbia­mo conosciuto tante persone che ci hanno raccontato tante cose, sono sta­ti incontri particolari. Ma abbiamo vi­sto anche grosse crepe nel centro sto­rico e ci siamo resi conto che c'è anco­ra tanto lavoro da fare."
Cosa ha provato?
"Sono cose che ti fanno riflettere. Noi, come sportivi, abbiamo il dovere di portare un supporto morale a chi vive ancora questo dramma."
Ha un sogno ricorrente o una paura?
"Adesso è un po' che non lo faccio più, ma per un periodo sognavo sempre che correvo dappertutto e c'era un ru­more infernale. Era una sensazione opprimente."
e' tifoso di calcio?
"Tifo Milan, ho seguito mio padre."
Balla?
"Non sono proprio un ballerino però sì, mi piace ballare."
Che musica ascolta?
"Qualsiasi cosa, se il ritmo mi prende va bene. Suono la chitarra da autodi­datta, ma non ditelo a mio fratello, di­rà che quello non è suonare."
Legge libri?
"Vado a periodi: leggo tanto e poi non leggo più."
Studia ancora?
"Sono iscritto all'ex Isef, mi mancano due esami per laurearmi. Dovrebbero mettere chi sta all'estero per lavoro nelle condizioni di poter completare il corso, ma non è così."
Lei è padovano, conosce la Cappella degli Scrovegni?
"Certo, l'ho visitata. É bellissima."
Lo sa, gli universitari non la visitano finché non finiscono gli studi. Si dice che chi ci entra prima, non si laurea...
"Questa non la sapevo, sarà per questo che non mi sono laureato...."
Corriere dello Sport Lunedì 7 Dicembre 2009

martedì 12 gennaio 2010

Giovanni Soldini: Un navigatore

Giovanni Soldini
Soldini, come si definisce? "Un navigatore".
Un navigatore che vive sulla terrafer­ma, com'è la sua vita?
"é divisa in due parti: una organizza­tiva, la ricerca dei soldi, il marketing, o la costruzione della barca, sì quando si partorisce il mezzo. E poi c'è una fa­se sportiva, lo studio del percorso e in­fine la regata."
La barca si partorisce, è come una fi­glia?
"Direi piuttosto che è una fidanzata."
Una fidanzata che non parla, non ri­sponde…
"Io però parlo con lei, o parlo da solo quando sono in navigazione in solita­rio ."
In cambio riceve lo sciacquettio del mare.
"Quello è una risposta, per esempio."
Che rapporto ha con il mare?
"Ho iniziato molto presto ad andare per mare e me ne sono innamorato. I miei avevano una barca e finché mio padre non l'ha purtroppo dovuta ven­dere, sono uscito, fino all'età di nove anni."
Eppure viene da una città, Milano, che non ha il mare.
"In realtà non ho vissuto a Milano tan­tissimo. Sono stato a Firenze, poi vici­no a Roma. Ora in Liguria, vicino a La Spezia."
Ha letto il Vecchio e il Mare di He­mingway?
"No, non amo leggere libri sul mare."
e cosa le piace?
"Sono un appassionato di libri, ma so­prattutto quelli di storia o di cronaca. L'ultimo che ho letto è quello di Cala­bresi ."
Se fosse un personaggio storico chi vorrebbe essere?
"Un grande navigatore, un esplorato­re, come Moitessier o Slocum o Ma­gellano, loro mi incuriosiscono molto. Avevano un bel fegato."
Lei no?
"Il loro era un navigare diverso rispet­to al mio, che è più consapevole. Noi abbiamo le carte, sappiamo dove an­diamo. É più facile. La tecnologia apre le porte, ma alza anche le barrie­re, perché le cose te le annuncia prima che accadano."
La lotta tra il mare grosso, arrabbia­to, e l'uomo resta una lotta impari, og­gi come allora.
"La lotta col mare è uguale a ieri, noi oggi siamo solo più preparati ad af­frontarla ."
Bisogna avere paura del mare?
"Una paura rispettosa".
Ha paura di qualcosa, forse di volare?
"No, niente in particolare, insomma non ho crisi di panico. Però la paura è una buona compagna di vita, è quella che ti fa frenare prima di una curva."
Lei si sente un po' matto?
"No perché?"
Le sue imprese non sono proprio nor­mali, qualcuno glielo avrà detto.
"Mia madre me lo dice ancora, ma so­no appunto discorsi da mamma. Biso­gna imparare a gestire i rischi, poi è chiaro che può succedere di tutto, ma anche in aereo o peggio in treno!."
e sua moglie?
"Lei vive con fatica la mia assenza perché si deve occupare della fami­glia e del resto da sola. A volte anche con preoccupazione, ma ormai la tec­nologia ci permette di stare sempre in contatto, lei sa in tempo reale quando sta per arrivare una tempesta, anzi a volte lo sa prima che arrivi."
Ha figli?
"Quattro, dai 13 ai 4 anni".
Come concilia il suo lavoro, la sua passione, con la famiglia?
"é difficile quando sono via, ma com­penso facendo con loro cose speciali. Come può essere un'uscita in barca."
Fa anche i compiti con loro?
"Ogni tanto mi capita di occuparmi di questi zucconi... Anche io a scuola ero un disastro."
Va al cinema, guarda la tv?
"In casa per scelta non abbiamo la te­levisione ."
i suoi figli cosa ne pensano?
"Ogni tanto guardano qualche dvd, ma poco. Ho spiegato loro che è me­glio fare cose che rincoglionirsi da­vanti a minchiate."
La radio però ce l'ha?
"La radio c'è".
Che musica ascolta?
"Mi piace tutta la musica. Spesso quando sono lontano mi viene voglia degli italiani. Amo Fabrizio De André, Vasco Rossi, Teresa De Sio."
Ascolta parecchia musica in naviga­zione?
"In realtà no. In barca la musica è li­mitata perché l'energia è un bene pre­zioso e la musica ne consuma tanta. E poi, soprattutto in solitario, i rumori della barca sono fondamentali per ca­pire se ci sono problemi."
Bisogna stare molto concentrati?
"No, basta il silenzio, ascolti il mare, la barca e sai se le cose vanno bene o ma­le ."
Uno che preferisce il rumore del ma­re, come vive sulla terraferma?
"Io vivo bene anche sulla terraferma."Cosa fa?
"Dormo… In realtà non ho molto tem­po libero a disposizione."
Quando va in vacanza, dove va?
"Dove mi capita, vicino o lontano. Spesso in barca a vela."
Montagna mai?
"e invece anche in montagna, ogni tanto vado a sciare. Non ho una gran passione, se posso scegliere preferi­sco viaggiare."
è scaramantico, ha manie?
"Nessuna mania e nemmeno scara­manzia. Certo non dipingo la barca di verde, non ci credo ma si dice che por­ti sfortuna."
Cos'è la cosa più bella della vita?
"i figli sono una cosa bella, li ho visti nascere tutti e quattro e sono un esperto di nascite. In ospedale sono di casa, conosco tutte le ostetriche."
e la cosa più brutta?
"Direi che la morte non mi attira affat­to."
La sua o quella degli altri?
"Mi spiace che qualcuno muoia e non ci sia più, quindi la morte degli altri. Be'… anche la mia non mi farebbe piacere."
Nella vita deve fare ancora tante co­se?
"Tante sì, ma cosa chi lo sa... L'impor­tante è svegliarsi contento la mattina per quello che si è fatto."
Lei si sveglia sempre contento?
"Magari… Mi sveglio anche io scon­tento qualche volta."
e cosa fa in questi casi?
"Un bel niente! Non succede proprio niente, mi alzo e faccio quello che de­vo fare anche se non mi va."
Suo fratello è il regista Silvio Soldini, ha mai pensato di fare un film su di lei?
"No, ognuno fa le sue cose. Andiamo d'accordissimo, per carità, ma lui fa un certo tipo di cinema e non gli inte­ressa fare un film su di me. Né tanto meno io farei l'attore in un suo film."
C'è un posto dell'Italia di mare parti­colarmente bello dove andrebbe a vi­vere?
"L'Italia di mare è bellissima tutta. Non so dove andrei a vivere, poi di­pende a farci cosa."
e' vero che il mare sta male?
"Il problema ecologico è un problema degli uomini. Tutto il pianeta sta ma­le. In Messico ho parlato con un pe­scatore che aveva una barchetta di 4 metri e un piccolo motore fuoribordo e mi diceva che negli ultimi 5 anni i pesci sono diminuiti tantissimo. É un macello. Le risorse sono sempre di meno."
Quali le soluzioni?
"Bisogna usare la testa e l'intelligen­za per fare regole che garantiscano la sopravvivenza del pianeta. Purtroppo il problema è politico e non ecologi­co ."
In che senso?
"Ci sono scelte politiche da fare, ma prevalgono come sempre gli interessi economici. Però i segnali positivi ci so­no: Obama ha detto che gli Usa dimi­nuiranno le emissioni di Co2 del 17% in dieci anni. Sono passettini, certo, ma è importante che ci siano."
Cosa succederà?
"Se non ci pensiamo noi, ci penserà la natura stessa. Il mare sale, la deserti­ficazione…."
Ci penserà la natura con le tragedie, come il terremoto in Abruzzo o l'allu­vione a Messina?
"Appunto".
Ha paura di invecchiare?
"Ho 43 anni, è un'età bellissima in cui ci si sente più maturi, si ha più espe­rienza. Dal punto di vista agonistico il limite c'è, ma ancora ho almeno dieci anni davanti, per navigare serve la te­sta oltre che i muscoli."
Le piacerebbe andare sulla Luna?
"Sinceramente... non mi piacerebbe."


domenica 10 gennaio 2010

Roberta Vinci: nel doppio una furia nel singolo torna a crescere

Da sempre è Robertina. Perchè quei 163 centimetri di altezza suggerisco­no il diminutivo, ma anche per il suo mo­do di fare sbarazzino, simpatico, coin­volgente.
La Vinci ha scoperto il tennis a 6 anni. E le è piaciuto subito. Il doppio è stato la sua prima passione. In coppia con Flavia Pennetta ha vinto il Roland Garros ju­nior nel 1999. Oggi lo gioca meno.
"Non ho una compagna con cui disputare tut­ti i tornei. E poi io preferisco fare coppia con un'italiana, spiegarmi in inglese è più difficile ."
Con Sandrine Testud (ma la francese parlava benissimo la nostra lingua) è approdata alle semifinali del Roland Garros e degli us Open. In Fed Cup ha un record difficile da battere: ha giocato 14 doppi e li ha vinti tutti.
Da ragazza giocava il rovescio a due mani, poi ha visto che quel movimento le provocava dei dolori al polso ed è passa­ta a giocarlo a una mano. Robertina ap­partiene a una razza in via di estinsione, quella di chi gioca serve&volley. É un piacere vederla in campo, ammirarla quando mette in difficoltà quelle ragaz­zone dai muscoli di acciaio che si perdo- no dietro una palla corta o a una volèe che le inchioda al terreno.
a tagliarle la strada ci hanno provato gli infortuni e i sentimenti. Prima l'ope­razione al polso nel 2007. E la classifica che era diventata imbarazzante, 280 del mondo. Poi la separazione dal suo fidan­zato/ allenatore Francesco Palpacelli, dopo una storia d'amore lunga cinque anni.
Ma lei ha un carattere forte. Con la spinta dei genitori (papà Angelo e mam­ma Luisa), con l'aiuto del fratello Fran­cesco, ha tenuto duro. É rimasta al tc Palermo ad allenarsi ed ora sta tornan­do su.
Dentro la borsa ha portato per tanto tempo (e forse lo porta ancoa) un pupaz­zo di peluche arancione, un dinosauro che Francesco le ha regalato quando era piccola. Un portafortuna che non l'­ha mai tradita.
Corriere dello Sport Martedì 10 Novembre 2009

Intervista a Margherita Granbassi

Margherita Granbassi
Margherita ha appena compiuto trent'anni. Tempo di bilanci, co­me donna e come atleta?
"Non è cambiato molto. Forse a questa età non ti perdonano più niente; però non lo considero un traguardo. Mi ca­pita di fare un resoconto ogni quattro anni, legato alle Olimpiadi. Più che ri­flessioni relative all'età, quindi, le ri­flessioni riguardano i periodi."
Il tempo che passa non fa paura?
"Lo sport è giovinezza, spregiudicatez­za. É un mondo fatato quello nostro."
Le favole a un certo punto finiscono…
"i conti con se stessa si fanno forse quando arriva un figlio. Io non ci ho pensato ancora. Non amo programma­re la vita. Penso ad adesso e adesso so­no un'atleta. E non so se sarei in grado di fare anche la mamma. Certo, non mi tirerei indietro."
Lei ha detto
"in questo periodo sono felice, anzi innamorata"
: l'innamora­mento è più della felicità?
"L'innamoramento completa la felici­tà. Perché si può essere felici senza es­sere innamorati e vivere bene. Ma quando hai l'amore è tutto più bello."
Esiste l'amicizia tra uomo e donna? Lei per esempio è fidanzata con quel­lo che era, ed è tuttora, il suo manager.
"Io credo di sì. Ho ottimi rapporti con gli uomini. Lo sport unisce. Viviamo momenti molto intimi, tra donne, ma anche con gli uomini della squadra. Condividiamo il tempo e le emozioni. É come essere dentro a un Grande Fratello. Comunque, non faccio distin­zioni. Se una persona è amica, uomo o donna non cambia."
Racconta le sue cose, anche quelle più personali?
"Mi piace parlare, ma devo avere con­fidenza e fidarmi. Nell'amicizia e nel­l'amore se un rapporto funziona è giu­sto dirsi tutto."
e' più doloroso il tradimento di un amore o di un'amicizia?
"Di un amore, ma io dimentico e per­dono. Do un'altra possibilità e non por­to rancore."
Lei è uscita dall'Arma dei Carabinie­ri per poter lavorare alla trasmissione Annozero, che le era stata proibita. Se fosse stata un uomo il divieto sarebbe stato uguale?
"Il mondo militare è un mondo ma­schile. Ma io ho vissuto quattro anni positivi nei Carabinieri. Quello di An­nozero era un fatto politico. A me è sembrato tutto esagerato, anche la di­chiarazione di Cossiga, che disse che ero andata a fare la velina. Questo sì è maschilismo. A parte che non capisco perché il lavoro di velina debba esse­re associato a qualcosa di negativo. Co­munque, Cossiga poi mi ha chiesto scusa."
Quando indossate la maschera vedete il mondo come le donne che indossa­no il Burqa, ci ha mai pensato?
"Per noi è una protezione fondamenta­le e necessaria, le donne che usano il Burqa non fanno un combattimento… Se è un'imposizione dell'uomo è una cosa grave, se è una libera scelta io la rispetto. Non so, è una cultura troppo diversa per capire fino in fondo. Alcu­ne egiziane che si allenano con noi, an­che sotto alla maschera, col caldo che fa, indossano il velo che copre il capo, ma non le obbliga nessuno, sono con­vinte, quindi va bene così."
e com'è il mondo visto da dietro a una rete?
"Limitato. Anche perché si ha una vi­suale solo dritta, lateralmente non si vede. Nella scherma è necessario e funzionale, guardando solo l'avversa­ria non si perde la concentrazione."
Lei si distrae facilmente?
"Oh sì, io sono una distratta, anche con la maschera! Mi passano per la testa tanti pensieri, tante cose vengono fuo­ri in pedana. Ho dovuto lavorare con uno psicologo sportivo per questo."
Dopo la scherma, il giornalismo?
"Il mondo della comunicazione mi af­fascina. Mi piacerebbe lavorare nello sport, penso che avere a che fare con gli atleti per me sarebbe naturale, ho sviluppato una determinata sensibili­tà, insomma potrei capirli molto. E poi mi piace scrivere. Qualsiasi cosa, an­che un resoconto della giornata. Non un diario, mi basta un pezzo di carta, che poi posso anche buttare."
Scrive lettere d'amore?
"No, anche se l'idea della lettera è bel­lissima. Però sono una fisica, da ab­braccio, sorrisi, contatto. Se rivedo Carlo dopo giorni, ho bisogno di cor­rergli incontro, come fanno i bambi­ni ."
Qual è la cosa più bella che le ha det­to?
"Stare insieme a te dà un senso alla vi­ta ."
e' gelosa?
"Moltissimo, ma gelosa dignitosa."
Anche in famiglia?
"La famiglia è una sicurezza, nessuno me la porterà via. Siamo quattro fratel­li, ci hanno voluto bene allo stesso mo­do, mai provato gelosia."
Lei che numero è? "La quattro". Prega?
"Mi capita di cercare un contatto di­retto. Con Dio ci parlo. Ma il dubbio resta."
Bisogno di spiritualità?
"Ho toccato Papa Woytila quando ero piccola. Poi quando è morto, con mam­ma siamo andate a San Pietro, abbia­mo percorso quel tragitto lunghissimo, dalle sette di sera alle sette dell'indo­mani, il tempo è passato senza che me ne accorgessi. Di quella notte ho un ri­cordo pazzesco. Quando sono arrivata da lui, non ce l'ho fatta nemmeno a guardarlo. No so quale sia il senso di questa cosa, forse il mistero. Ero come spinta ad andare."
e il Dalai Lama?
"Grande spiritualità. Mi sono com­mossa vedendolo. Quell'incontro mi ha fatto riflettere su molte cose, si può vi­vere in modo diverso."
Quali sono le cose che contano nella vita?
"i sentimenti, l'amore per le persone che ti sono vicine, per la famiglia."
e il successo cos'è?
"Il successo ti capita, non lo cerchi. Bi­sogna goderselo come una fortuna, senza strafare e volerne sempre di più. Invece, spesso non ci si accontenta."
Come si vede nel futuro?
"Sogno di voltarmi indietro e di esse­re contenta di quello che ho fatto, sen­za rimorsi e senza rimpianti. Posso im­maginarmi una grassa signora che dà da mangiare ai cani. O anche a fare la vita di campagna."
Perché le viene in mente una donna grassa, ha problemi di linea?
"Mi piace mangiare e cucinare e farlo con gli amici. Faccio fatica a fare una dieta, ma devo stare attenta. Sono go­losa di dolci, come crostate, cioccolata calda con la panna. Amo godermi il ci­bo, per me è felicità. La sera vado a dormire pensando alla colazione del­l'indomani!
"
Si trucca?
"Il mascara lo metto anche se non de­vo andare da nessuna parte."
e i capelli?
"Sono una corazza, una copertura. Li tocco spesso, li lego e li slego in conti­nuazione. C'è qualcosa in questa ge­stualità che evoca la sensualità. Ma a me i capelli servono per coprirmi il vi­so se ce n'è bisogno."
Dove vive?
"Sono un po' vagabonda. Adesso in Umbria a Narni, mi alleno a Terni e qualche volta a Roma. E a Torino fac­cio riabilitazione."
Trieste le manca?
"Da matti. Mi manca il mare e il ven­to, che ti danno quel senso di libertà e la sensazione di volare."
Lei è una donna libera?
"Dipende. Spesso sono sopraffatta dal­la responsabilità nei confronti degli al­tri, mi faccio tanti problemi e non scel­go quello che interessa a me."
e' mai stata molestata?
"L'anno scorso durante la trasmissio­ne. Non fisicamente, ma ricevevo in­sulti terribili. Ho perso la serenità. Più che paura era fastidio. Però avevo il terrore del telefono."
e fisicamente?
"No, tranne una manata sul sedere di un vecchio. Cose da pazzi, ero davanti a una vetrina con mia madre, questo passa e con tutta naturalezza mi tocca e va via come se niente fosse!"
Ha paura di andare in giro di notte?
"Sono una paurosa, di quelle che l'ur­lo le resta in gola."
Non si saprebbe difendere?
"Sono agile, ma calci e pugni non li so dare."
Si sente bella?
"a volte carina, a volte meno. Non è una cosa che mi interessi. Quando mi vesto non mi guardo mai allo specchio. Però, se mi capita di non sentirmi sicu­ra, mi… controllo nelle vetrine dei ne­gozi ."
Corriere dello Sport Domenica 22 Novembre 2009

sabato 9 gennaio 2010

Intervista a Federica Pellegrini

Federica Pellegrini, nel tuo libro citi solo due volte Alberto Castagnetti. Come mai?
"Nella mia testa lui apparteneva a un futuro che avrei voluto raccontare più in là. Volevo dedicargli un capitolo a parte, approfondire la nostra storia quando sa­rebbe finita."
Quando è morto hai pensato di chiude­re con l'agonismo.
"Ci ho pensato nei periodi di maggio­re sconforto. L'idea durava pochi secon­di, poi veniva subito accantonata da quello che avrebbe voluto Alberto, da quello che vuole."
e così hai ricominciato subito a nuota­re.
"Se mi fossi adagiata troppo, non avrei più ripreso. Era giusto andare avanti e farlo subito."
Hai cominciato ad allenarti con Stefano Morini, detto "il moro". Come va?
"c'è una differenza di allenamenti, di filosofia. Avverto l'assenza di Alberto come persona. Mi mancano anche le no­stre liti. A un certo punto però mi sono resa conto che stavo diventando crude­le, facevo dei paragoni. Devo rendermi conto che nessuno mai sarà come Alber­to. Col "
moro
" va bene, due giorni e già nuoto meglio."
Del recente passato c'è un altro brutto momento che ti porti dietro.
"Un incubo. Sogno di essere chiusa in una stanza senza finestre, nè porte. E sul pavimento c'è l'acqua che sale, sale sem­pre di più. Ho paura di soffocare e non posso fare niente. Tutto è cominciato do­po quella sensazione terribile che ho provato a Genova. Mi sveglio senza fia­to, mi manca l'aria. Devo fare dei respi­ri profondi, devo scacciare l'apnea di po­chi istanti prima."
Voltiamo pagina. Recentemente sei sta­ta in Giappone. Come è andata?
" Sono stata contenta soprattutto per mamma, si è svagata. Ne aveva biso­gno "
. In che lingua comunicavate con loro?
"In italiano, grazie a un'interpete giap­ponese. Una che metteva sempre la "
l" al posto della "r". Divertente".
Cosa hai portato dal Giappone?
" Ero andata lì con l'idea di farmi un tatuaggio, ma mi hanno detto che in pi­scina dovevo coprirli, mi hanno detto che solo la mafia giapponese si fa tatuag­gi vistosi. E allora ho preso un po' di di­segni, geishe e fiori. Lo farò in Italia."
Ma quando sei andata a nuotare, hai poi coperto i tuoi tatuaggi?
"No. Forse mi avranno scambiato per una mafiosa."
L'idea del viaggio negli Stati Uniti è de­finitivamente accantonata?
" Diciamo rinviata. Se andrò avanti a nuotare, quel viaggio lo farò nel 2013."
Proseguirai la carriera anche dopo i Giochi di Londra? "Dipende". Da cosa?
"Potrei smettere se ci saranno presup­posti per mettere su una famiglia, valo­re a cui tengo moltissimo. Oppure se mi sarò stancata di nuotare, o se vorrò aprirmi ad altre esperienze."
Pensi di iscriverti all'Università?
"Lo farò il prossimo anno. Sono inde­cisa tra giurisprudenza e lettere."
Sta arrivando Natale, scegli un regalo per i tuoi genitori, un sogno da realizza­re.
"Spero che papà trovi il bar che cerca da tanto tempo. Un locale tutto suo."
Argomento tosto. Il sesso. Luca Marin ha detto a un settimanale che avete fat­to l'amore durante i Mondiali di Roma.
"Non capisco perchè questo abbia fat­to scalpore. Siamo assieme da due anni, in quaranta giorni di collegiale potrà pu­re capitare qualche volta."
Ma lui si riferiva ai dieci giorni del Mon­diale.
"Non è strano. Se capita, non vedo qua­le sia il problema"
Sei dunque con chi è favorevole all'atti­vità amorosa anche a ridosso delle com­petizioni?
" Dipende, è molto soggettivo. Sono una persona che dà molto valore al­l'amore. Una botta e via è sbagliato, an­che se lo fai lontano dalle competizioni. Ma fra due che stanno insieme, anche se capita il giorno prima della gara, non ve­do che problema ci sia."
Sono due anni che stai con Luca, sei an­cora gelosa?
"Sono possessiva, anche se adesso rie­sco a controllarmi di più. Non è passata, ma è sotto controllo."
a proposito di sesso, negli ultimi tempi si è parlato molto di travestiti e transes­suali. Pensi che nella sessualità non ci siano limiti?
"Sono molto aperta di pensiero. Ognu­no è libero di fare quello che vuole del­la sua vita. Se uno nasce con un corpo diverso da quello che si sente, è padro­ne di fare quello che pensa sia necessa­rio per ritrovare l'armonia"
Niente limiti, dunque.
"i limiti li vedo in un altro campo. A me sta bene che una coppia che non rie­sce ad avere figli possa ricorrere all'in­seminazione artificiale, ma non mi sta bene che una donna faccia un figlio a 65 anni. Bisogna essere meno egoisti, pen­sare che quando lui avrà 15 anni tu for­se non ci sarai più."
Ci sono omosessuali nel mondo del nuo­to?
" Penso ci siano, ma non credo siano tante. Ma perchè poi dovrebbe diventa­re una cosa degna di attenzione? Se ve­dessi due ragazze che stanno assieme, non ne farei certo un problema."
Che importanza hanno le coccole nella vita di una donna?
"Per me sono fondamentali. Sono una ragazza che ha tanto bisogno di affetto, mi conquisti anche con delle piccole co­se che possono rivoluzionare la mia gior­nata ."
Torniamo in piscina. A Londra vuoi fa­re quattro gare.
"é l'obiettivo: 100, 200, 400 e 800 sti­le libero"
Più la staffetta.
"Credo molto alla staffetta, anche se a Roma ho preso una bella pacca. Dobbia­mo diventare tutte più cattive in gara, fin dalle batterie. Se faccio quattro pro­ve, ai Giochi la mattina non gareggerò. Quindi bisognerà trovare quattro staf­fettiste che ci portino in finale."
Come pensi di reggere lo stress di tan­te gare?
"Dovrò allenarmi a mantenere alta la concentrazione a livello mentale e con­servare una prestazione fisica ottimale."
Vuoi diventare la Phelps delle donne?
"Lui di gare ne ha fatte otto. E le ha vinte tutte."
Ma era agevolato in staffetta.
"Vero. Gli Usa forse le avrebbero vin­te anche senza di lui. Ma resta sempre un fenomeno."
Quale è la motivazione che hai trovato per il prossimo ciclo olimpico?
"L'obiettivo va di pari passo con quel­lo di Alberto, fare il massimo sulle quat­tro gare a Londra."
Come farai a farti piacere quegli 800 sl che hai sempre odiato?
" Non lo so. Non ne ho idea. Spero di azzeccare la gara fin dalle prime volte. Se mi convinco che posso farli bene, ma­gari vado avanti."
Quando li sperimenterai in prove im­portanti? "Solo dal 2011". Quale è la cosa nel nuoto che ti dà più fastidio? " Essere presa in giro " . a volte sembri molto sola.
"Sono malinconica di natura. Mi posso sentire sola, anche se ho tremila atten­zioni attorno. La verità è che mi porto ancora dietro la solitudine di quei due anni milanesi."
Corriere dello Sport Giovedì 19 Novembre 2009

venerdì 8 gennaio 2010

Sara Errani: il tennis nel sangue

Sara ErraniAveva un po' di febbre domenica Sara Errani. La tuta tirata su a coprire il collo, un rossore sopra misura sulle gote e la voce ammorbidita dal raffreddore. E per mascherare la sua timidezza ha prima detto:
" é un onore far parte di questa squadra, Francesca e Flavia sono due ra­gazze fantastiche "
. Poi ha aggiunto:
" Parlo così perchè ho la febbre "
.
Al tennis è arrivata presto. A 5 anni ave­va già la racchetta in mano., a 12 il papà Giorgio, titolare di un'ìazienda ortofrutti­cola, la mandava a Bradenton nell'Acca­demia di Nick Bollettieri. A 16 volava a Valencia e si trasferiva con Pablo Lozano e David Andres, che sono ancora i suoi al­lenatori.
a casa restavano, oltre al babbo, la mamma Fulvia ( farmacista) e il fratello Davide che tra gli sport aveva scelto il cal­cio, arrivando a giocare tra c2 e d von Fa­enza, Provercelli, Cervia e Reno Centese. Per farla preparare in Spagna la fami­glia spendeva circa 60.000 euro l'anno. Oggi si può tranquillamente dire che è stato un investimento che ha dato buoni risultati. Questa biondina dagli occhi ce­rulei, nonostante sia una piccolina ( 1.64 per 60 chili) tra le gigantesse, sa farsi va­lere. Ha vinto due tornei in singolare (Pa­lermo lo scorso anno e Portorose nel 2007), altrettanti in doppio ( il primo in coppia con Flavia Pennetta).
Dotata di ottima reattività, copre bene il campo ed ha nella terra battuta la sua su­perficie preferita. Ha il carattere della guerriera, non si arrende mai. Per due volte ha raggiunto il terzo turno in un tor­neo dello Slam, nel 2010 ha detto che vuo­le fare di più.
Libri, film, musica pop e l'abilità nel gioco del Monopoli. Questi i suoi hobby innocenti. Ma le piace anche giocare con le compagne a carte. E se perde, si arrab­bia.
Parla bene l'inglese, in questo è la mi­gliore del gruppo. A Reggio Calabria ha voluto giocare il doppio a risultato acqui­sito, nonostante avesse qualche linea di febbre.

Corriere dello Sport Martedì 10 Novembre 2009


giovedì 7 gennaio 2010

Danilo Gallinari: un altro italiano nella NBA

Danilo Gallinari
Gallinari, quando ha iniziato a di­ventare così alto?
"Sono sempre stato più alto di tutti, non sono cresciuto tutto in una volta, quindi non mi sono reso conto."
e' mai stato un complesso?
"L'altezza non è mai stata un proble­ma. Anche perché gli amici a scuola volevano essere alti come me."
Però non deve essere facile baciare una ragazza da quell'altezza, a meno che non le trovi tutte su misura…
"Preferisco le ragazze alte, però un si­stema per baciarsi che accontenti tut­ti si trova."
e' fidanzato? "No". In America è più facile trovare la ra­gazza giusta, almeno per la statura?
"Forse, ma preferisco le italiane, mo­re e alte. Anche le americane sono bel­le e qui trovi donne di tutto il mondo."
Lei è molto giovane, ha già avuto una storia importante? "sì, a 18 anni". e' finita per colpa del basket?
"No, assolutamente, non credo che possa capitare. La pallacanestro non condiziona il resto."
Cos'è per lei la pallacanestro?
"é una cosa naturale, un gioco, un di­vertimento, lavoro e passione."
Da piccolo come ha fatto a resistere alla tentazione del calcio?
"Giocavo anche io con tutto il gruppo, mi piaceva stare in porta o in difesa. Attaccante? Per carità!."
Adesso però attacca, qual è il suo col­po preferito? "Il tiro da tre punti" e' tifoso di calcio?
"sì, sono milanista. Quando giocavo a Milano andavo spesso allo stadio. Do­po un inizio così così, adesso questo Milan lo vedo bene."
In Italia tanto calcio, in America tan­to basket, cos'è meglio?
"Non preferisco né l'una né l'altra co­sa. E l'Italia mi manca anche per la partitella a calcio con gli amici."
Di cos'altro ha nostalgia?
"Mi mancano i miei genitori, anche se si alternano molto e vanno e vengono dall'Italia. Mi mancano molto i miei migliori amici, mangiare fuori con lo­ro; mi manca il mio ristorante preferi­to e le partite a carte."
Come si vive a New York?
"Bene, è una città bellissima, conosco tante persone e la comunità italiana è ampia."
Frequenta solo italiani? "Un po' e un po'". Vive da solo e si occupa di tutto, lava­trice, cucinare?
"Vivo da solo e faccio tutto, ma cucina­re non mi piace, vado spesso fuori o mi faccio portare il mangiare a casa."
Mangia americano o italiano?
"Cerco di mangiare italiano, qui cuci­nano bene."
Qual è il suo piatto preferito? "Gnocchetti sardi al gorgonzola". Com'è il suo americano?
"Lo parlo bene, perché ho avuto bravi insegnanti a scuola e ho sempre gioca­to con gli americani."
La sua casa newyorkese era già am­mobiliata?
"No era vuota, ha fatto tutto mia mam­ma, è lei l'esperta del campo."
Un sito, facebook, blog, se ne occupa personalmente?
"sì, è un modo per avere un contatto con le persone."
Anche con gli amici?
"No, gli amici li sento al telefono o ci vediamo con skype."
Insomma, usa la tecnologia?
"Mi piacciono il computer e l'I-Pod, e basta. Non amo giocare ai videogiochi, non ho la più pallida idea di come si usi la play station o la X-Box. Ci ho pro­vato: quando ero bambino mi regalaro­no la play station 1, la usavo poco."
Quindi nessuna partita virtuale con gli amici?
"Con gli amici preferisco chiacchiera­re ."
Che musica ascolta?
"Hip hop, techno, ho duemila canzoni nell'I-Pod, c'è di tutto, anche Adriano Celentano, Fabri Fibra, Mondo Mar­cio, Max Pezzali"
Balla l'hip hop?
"Ho uno stile hip hop ma non lo so bal­lare. Però mi piace ballare e andare in discoteca."
Veste con il pantalone abbassato e le mutande in bella vista?
"No, non mostro l'elastico delle mutan­de ."
Slip o boxer? "Preferisco lo slip". Anche al mare?
"No, al mare metto i pantaloncini fino al ginocchio, con le mutande sotto"
Le piace andare al cinema?
"Mi piace guardare i film ma sono un pigro, non esco e li guardo a casa spes­so sul pc, da solo, facevo così anche in Italia."
Quante volte ha visto Space Jam, il film con Michael Jordan e i Looney Tunes?
"Un bel po' di volte. Jordan è il mio idolo, quando ero piccolo papà mi re­galava le sue cassette, lo guardavo e poi provavo a fare le stesse cose."
Lo ha conosciuto?
"sì, l'anno scorso… é stata una delle poche volte in vita mia in cui sono ri­masto senza parole, letteralmente. Non mi usciva una frase, eppure avrei volu­to chiedergli o dirgli mille cose. Gli ho stretto la mano e gli ho detto "
mi spia­ce, non so cosa dirti"".
e' stato un incontro a sorpresa?
"sì, mi hanno portato nello spogliatoio di Charlotte, lui era il presidente di quella società, dicendomi che mi do­vevano fare conoscere una persona."
e lui?
"Mi ha chiesto come stavo, allora ave­vo mal di schiena, mi disse "
abbi cura, mi piace come giochi"".
Ora cosa gli chiederebbe?
"Avrei tantissime domande da fargli, lui ha tanto da insegnarmi."
Conosce la canzone di Mina "Vorrei la pelle nera"? Mina voleva la voce di una nera, ma lei ha mai pensato di vo­ler essere un uomo di colore per ave­re più doti atletiche?
"Certe volte, quando salgono un po' prima di me, mi piacerebbe avere le loro doti, ma negli ultimi anni in Ame­rica sono venuti a giocare molti euro­pei che non hanno nulla da invidiare."
Nella realtà in cui vive c'è razzismo?
"Qui ci sono tante razze, ognuno vive la propria vita, non avverto problemi di razzismo. Io sono per il vivi e lascia vi­vere. Il pallone da pallacanestro unisce tante culture diverse."
Che rapporto ha con la sua famiglia?
"Bellissimo con tutti. Anche con il mio fratellino, che ha 11 anni. Quando tor­no a casa, prima di partire per una va­canza, sto dieci giorni con lui."
Si fa coccolare?
"Abbastanza. Mi piace stare la sera sul divano con loro a guardare la tv."
Col suo successo sta realizzando un so­gno dei suoi genitori?
"Non so quali siano i sogni dei miei ge­nitori. Mamma mi dice sempre che è contenta, che io sono il suo bravo bam­bino, educato e intelligente. Anche a scuola sono sempre andato bene, me la sono cavata."
Botte ne ha prese? Non deve essere facile per una mamma picchiare un fi­glio molto più grosso di lei…
"Ne ho prese un po' e mia madre non si è fatta mai problemi per l'altezza, lei è una dura."
a cosa non rinuncerebbe mai?
"a mio fratellino e alla mia famiglia."
Si considera più grande della sua età?
"Mi sento più grande e più maturo di un ragazzo che non ha avuto le espe­rienze che ho avuto io."
Che rapporto ha con i soldi?
"La mia famiglia mi ha insegnato come gestire i guadagni. Sono una persona responsabile e qualsiasi scelta è sup­portata da loro."
Qual è la sua paura più grande?
"Fare il bagno al largo dove l'acqua è blu."
La vacanza preferita?
"Al mare. Mi piace viaggiare con gli amici, quindi ogni estate un posto di­verso ."
Cosa non le piace nelle persone?
"Non mi piacciono quelli che racconta­no balle."
e' bello essere un personaggio ricono­sciuto?
"Mi fa piacere, se non si parlasse di me vuol dire che non sto facendo bene."
Si ritiene un ragazzo disponibile?
"sì, i miei amici dicono anche troppo, però mi piace parlare con tutti."
Legge libri, giornali?
"a periodi. Leggo tanto o non leggo niente."
Legge il nostro giornale? "Yes… sono preparatissimo". Che sogni fa?
"Non me li ricordo. Appena vado a let­to penso alla pallacanestro, all'allena­mento e poi dimentico tutto…."
Corriere dello Sport Domenica 15 Novembre 2009




mercoledì 6 gennaio 2010

Manny Pacquiao è Pacman

Manny PacquiaoCome accade a tutti i campioni che at­traversano trasversalmente lo sport, anche Manny Pacquiao dovrà fare i con­ti con il passato. Ha messo ko Daniel Cot­to, lo ha travolto sotto una serie infinita di colpi (
" Ero tutto gonfio e non capivo più da dove arrivassero quei pugni. Non ave­vo mai affrontato uno così forte "
, ha det­to il portoricano) ed ha conquistato anche il mondiale dei welter. Il settimo titolo in sette diferrenti categorie di peso.
e qui il discorso si fa più complicato. Pacquiao è un fenomeno del ring. Ha messo via gente come Barrera, Morales, Marquez, De La Hoya, Hatton e ora Cot­to. Qualcuno obietta però sullo spessore di due dei suoi sette titoli. Ha centrato quello dei piuma con l'approvazione del­la mitica rivista " The Ring". Ma quella corona l'ha vinta battendo un eroe del quadrato come Marco Antonio Barrera.
Stesso filone per il secondo punto inter­rogativo. Il titolo dei superleggeri l'ha preso con l'avallo dell'Ibo, sigla decisa­mente minore. Ma quella notte ha messo ko in due round Ricky Hatton. Non stare­mo tanto a tirar su cavilli sui marchi che gestiscono i mondiali.
Pacquiao è forte fisicamente anche da welter, nonostante la sua scalata sia par­tita dai pesi mosca. É capace di mettere giù il rivale con un solo colpo. Ora come quasi quindici chili fa. É veloce, dotato di grande tecnica. Mancino, capace di spa­rare ganci e montanti terrificanti. Ed ha lo spirito giusto per chiudere ogni sfida.
" Mi sentivo una tigre feroce che voleva sbranare il nemico ."
Non sono parole but­tate lì per caso. Basta vederlo in azione per capire quanto ci sia di vero in quella frase.
i conti con il passato li ha aperti Bob Arum, uno dei più grandi organizzatori nella storia della boxe.
" é il miglior pu­gile che io abbia mai visto ."
E Muham­mad Ali, Marvin Hagler o i grandi di qualche anno fa come Ray Sugar Robin­son e Joe Louis? Abbiamo sempre pensa­to che fare i paragoni col passato sia un'impresa improba. Meglio restare ai tempi nostri. E lì i dubbi scompaiono ve- loci come i colpi di Manny. Nessuno è for­te come lui.
Sportivo di talento, personaggio di li­vello assoluto. Nelle Filippine è un vero eroe, durante i suoi combattimenti nel­l'arcipelago cala addirittura il tasso di criminalità. Migliaia in piazza fino all'al­ba per festeggiare la vittoria. Da bambi­no vendeva sigarette in strada, ora è ric­co, molto ricco: ha guadagnato 25 milioni di dollari per il match con De La Hoya, 12 per quello con Hatton, 13 per quello di sabato notte. Solo per resare agli ultimi tre.
Da ragazzo frequentava le vie di Gene­ral Santos City, nel sud delle Filippine. Lì dove ogni giorno si muore nella battaglia tra i separatisti islamici ed il governo. É entrato in politica, ha fondato un partito (" People Champ's Movement", con cui si presenterà alle prossime elezioni). Fa pubblicità a detergenti, medicinali, cibo, telecomunicazioni. E' attore e cantante. Su di lui sono stati scritti due libri e gira­to un film. Presenta uno show televisivo e tiene una rubrica sul più popolare quoti­diano delle filippine. "Time" gli ha dedi­cato la copertina dell'edizione asiatica.
Ricco e famoso, ma non per questo si dimentica della sua gente. Lo scorso set­tembre mentre stava preparando il match con Cotto, ha interrotto gli allenamenti per tornare nel suo Paese sconvolto da un tifone. Si è dato molto da fare nei soccor­si, è andato in giro a distribuire medicina­li e cibo, ha pagato i funerali della gente più povera, ha offerto i suoi soldi per comprare generi di prima necessità.
La sua storia di pugile è cominciata a 14 anni, quando ha deciso che quella avreb­be potuto essere la sua strada. Il papà, per punirlo per la sua ennesima bravata, aveva catturato, ucciso, cucinato e man­giato il cagnolino a cui il bambino era molto affezionato. Divorato dalla rabbia, Manny era entrato in una palestra e ave­va così cominciato la grande avventura.
Ha una moglie, Jinkee, e quattro figli. Tutti i loro nomi se li è fatti tatuare sul braccio sinistro. "Pacman" è fatto così.
Sabato notte ha travolto Cotto. La mo­glie ed il figlio del portoricano implorava­no l' arbitro Kenny Bayless di chiudere quella sfida ormai divenuta impari. Non ascoltati, scappavano piangendo nello spogliatoio. La resa avveniva solo all'ulti­ma ripresa. Un altro ko nel carniere, avanti con la prossima sfida. Inevitabile. Roger Mayweather jr è l' unico che po­trebbe creargli dei problemi. "Pacman" sorride e avverte la banca, sono in arriva altri bei dollaroni.
di Dario Torromeo
Corriere dello Sport Lunedì 16 Novembre 2009