giovedì 18 settembre 2008

Renzo Ulivieri

Intervista del 2007:

Ha fama di non amare molto i sacerdoti, da buon toscano. Ma perché allena i giocatori con il saio?
"Mi sono lasciato trascinare per amicizia. Voglio farli vincere, almeno un po'."
Una fama da mangiapreti, come si conviene a un ruvido toscano, un pensiero fuori dal coro a dimostrare che si può vivere di calcio e pensare sodo, non necessariamente con i piedi.
In estrema sintesi: Renzo Ulivieri, allenatore del Bologna, in prestito alla Nazionale di calcio religiosi.
Mister, scusi, ma lei è davvero un "mangiapreti"?
"Non lo sono mai stato, potevo diventarlo se non mi garbava un sacerdote, ma questo vale anche per tutte le altre categorie.
D'altra parte, credo che al prete vengano chiesti comportamenti superiori che alle altre persone. Ho avuto molti amici preti, tra l'altro sono credente, son sempre stato particolarmente legato a quelli più vicini ai poveri."
Com'è arrivato ad allenare la Nazionale italiana religiosi?
"Don Giuseppe e don Leonardo sono miei amici di vecchia data, mi hanno chiamato e io aiuto il loro allenatore facendo un po' da Ct."
Sono scarsini, però: con i detenuti di Rebibbia hanno perso...
"Glielo dico sempre, scherzando: "Non vi fissate troppo col calcio, voi avete il gregge a cui badare".
Il nostro giocare è soprattutto un momento di incontro, però, è vero, bisogna anche migliorarsi, perché bisogna saper perdere, ma non perdere sempre."
Non dev'essere facile accettare di perdere per un gol fantasma, com'è successo al suo Bologna con la Juve...
"Eh sì, è stata dura anche mantenere la calma, perché siamo sempre carichi di sospetti. Sul momento è umano arrabbiarsi, succede a tutte le categorie, ai commercianti, agli artigiani, ai ministri, e naturalmente, noi non siamo diversi.
Poi, però, bisogna digerirla."
Il Bologna e la Juventus sono state assieme al vertice della classifica della Serie b e sono lì per tornarci: le piacerebbe che fosse Serie a?
"Molto, in testa in Serie a sono stato per tre partite, una volta con la Sampdoria, è un piacere particolare."
È vero che è più divertente allenare squadre di Serie b?
"Io credo che gli allenatori e i calciatori siano produttori di spettacolo. La Serie a è bella perché vai a recitare alla Scala, la b diverte perché sono partite molto combattute."
Julio Velasco dice che allenare è un'arte come insegnare: è d'accordo?
"sì, tra l'altro io ho insegnato 14 anni prima di fare l'allenatore professionista. L'insegnamento è una componente fondamentale del mio lavoro."
Allenare è lavoro di relazione: com'è quella che lei ha con i calciatori?
"Oggi la situazione è più complessa che in passato: una volta l'allenatore aveva l'autorità che gli veniva dal ruolo, noi lo chiamavamo "maestro".
Ora i ragazzi hanno più senso critico, c'è più bisogno di autorevolezza, a volte sento di riuscire a comunicare, altre volte faccio fatica.
Spesso ho dato la colpa a loro, ma probabilmente sono io in difficoltà a relazionarmi con i giovani di oggi, perché sono troppo diversi da com'ero io.
Non dico migliori o peggiori, ma diversi sì."
Di cosa parlate, ovviamente calcio a parte?
"Di episodi comuni, di politica, di questioni sociali, sono ragazzi aperti al mondo. La gente, a volte, vede i calciatori come persone un po' fuori dalla realtà, ma non è così: di fronte alle problematiche della vita sono molto attenti.
E quando si distraggono, glielo ricordo: "
Ragazzi, Del Piero in pubblicità parla con i passerotti, ma la realtà è un'altra cosa"".
In campo si vedono botte da orbi: parlate anche di quello?
"sì, molto. Viviamo in una società fortemente conflittuale, e il calcio ne risente. Le cronache televisive dei discorsi in Parlamento, istituzione da cui ci si aspetterebbe il massimo della compostezza, mostrano immagini di gente che si insulta.
Gli esempi sono questi: si litiga al parcheggio, al semaforo, se non sei svelto a mettere la prima ti "sonano" inferociti.
Noi troppe volte siamo su questa sintonia. Vorrei che la politica, che ci fa la morale, sapesse darci anche l'esempio. Questo non toglie che dobbiamo fare la nostra parte per porre un freno."
Che calcio vorrebbe se potesse veramente scegliere?
"a noi allenatori piace il calcio della settimana: stare in campo con i giocatori. La domenica, invece, viviamo in modo eccessivamente drammatico, pensiamo poco allo spettacolo e troppo al risultato.
Ma in realtà questo è un fenomeno tutto italiano."
Che cosa chiede al 2007?
"In generale, un mondo con più solidarietà. Nel calcio, regole: abbiamo bisogno di regole ferree, della loro certezza, da lì riparte la vita di questo mondo."
È vero che sogna ancora il suo esame di maturità?
"sì, è stata la mia prova più dura, allora giocavo e studiavo, e studiavo tanto perché non sopportavo di non saper rispondere a una domanda: si portavano tutte le materie, la commissione era tutta esterna.
È il mio incubo ricorrente."
Studiare e giocare si può?
"sì, si fa fatica, naturalmente, ma si può, anzi si deve se uno pensa un po' al domani. Ma anche all'oggi: la cultura è la base di una persona."
Ha un libro sul comodino?
"Un libro che mi serve per il lavoro, che so a memoria e rileggo spesso: Lettera a una professoressa di don Milani.
E poi, al momento, la Costituzione: l'ho regalata a Natale alla mia bambina. Ora è piccola, lo so, ma ho paura che non farò in tempo a dargliela quando sarà grande, speriamo che per allora non l'abbiano troppo stravolta."
Elisa Chiari

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