venerdì 26 dicembre 2008

Daniela Castellani campionessa di softball

La carriera sportiva di Daniela Castellani inizia alle scuole medie quando, a 11 anni, si innamora del softball, disciplina poco conosciuta rispetto ad altri sport che fanno sognare ogni bambina.
Daniela gioca a Bussolengo, la sua città d'origine, fino al 2003 vincendo 3 scudetti e 2 coppe Italia.
Passa poi a Macerata vincendo lo scudetto e la coppa Campioni. Vanta più di 250 presenze in nazionale nella quale esordisce nel 1992. Nel suo palmares ci sono 2 Campionati Europei Juniores, 3 Campionati Mondiali, 7 Europei e 2 Olimpiadi .
Agli Europei 2001 conquista il titolo di miglior battitore. Dopo la nascita del piccolo Alessandro, Daniela torna a giocare a Legnano riuscendo a conciliare maternità e attività sportiva nel migliore dei modi.
Una ragazza vincente. Nello sport e nella vita.

A che età hai iniziato e perché hai scelto una disciplina come il softball?
è iniziato tutto per una casualità con la c maiuscola! Ero in prima media, avevo 11 anni e durante la lezione di educazione fisica è arrivata una ragazza, che oggi è il presidente della squadra del Bussolengo, con gli attrezzi del softball.
Guantoni e mazza mi hanno catturata stimolando la mia curiosità. Ci è stato proposto un allenamento di prova. Una volta iniziato è stato amore vero.

Quali sono le perplessità di un genitore che decide di far praticare il softball alla propria figlia?
Le perplessità riguardano sia i genitori che le bambine stesse: il softball viene visto come uno sport prettamente maschile e il genitore ha il timore che sia troppo fisico o pericoloso.
Inoltre, quando ho iniziato io, non esistevano cartoni animati che raccontassero la storia di piccole atlete di softball, poco conosciuto rispetto ad altre discipline e con un impatto sicuramente meno accattivante.
Vincere la ritrosia iniziale permette di conoscere questo bellissimo sport.

In che modo il softball ha influito sulle scelte della tua vita?
La mia vita è stata sicuramente condizionata dallo sport. Ogni mia scelta, dalla scuola superiore, all'università, al lavoro da intraprendere in futuro, è stata fatta in funzione degli impegni con la squadra e con la nazionale.
Soprattutto durante l'adolescenza, è stato difficile non poter condividere con le compagne di scuola o le amiche di sempre gli stessi interessi: il sabato sera, quando tutti uscivano in gruppo, io arrivavo sempre per ultima e stanchissima, d'estate c'era il ritiro con la nazionale, durante la settimana gli allenamenti.
Ma la passione per lo sport era talmente forte e viscerale da riuscire a superare qualsiasi ostacolo.

E poi ho avuto la grande fortuna di trovare amiche vere all'interno dello spogliatoio. a proposito di spogliatoio e di amicizia "al femminile", esiste complicità, cameratismo e unione fuori dal campo oppure c'è competizione, invidia e unità solamente finalizzata al raggiungimento dell'obiettivo?
Devo fare una premessa: mio marito, che gioca a calcio in terza categoria, mi prende sempre in giro dicendomi che nelle squadre femminili qualsiasi diverbio nato in campo, non viene superato e chiarito e gli strascichi rimangono anche dopo.
Tra uomini non funziona allo stesso modo: si è più diretti, ci si spiega immediatamente e si va a bere una birra insieme.
Quello che dice corrisponde alla realtà ma devo dire che io sono stata veramente fortunata: in tutte le squadre nelle quali ho giocato ho sempre trovato un gruppo vero anche fuori dal campo soprattutto a Legnano, dove lo zoccolo duro è formato da ragazze che giocano insieme da anni e sono molto affiatate e in cui io, unica italiana a venire da fuori, ho respirato subito armonia, feeling, complicità.
É questa la nostra forza, non c'è l'obbligo di stare insieme per forza ma una ricerca quasi inconsapevole dello stare insieme.

Per quale motivo nello spogliatoio e, più in generale, nell'ambiente dello sport c'è questa particolare empatia?
Perché si vivono sensazioni estreme, si affrontano fatica, sacrifici, delusioni e gioie e poi si va tutte nella stessa direzione, non c'è competizione e lo sport di squadra aiuta anche se nel softball ci sono ruoli individuali, come ad esempio il battitore in cui si è da soli contro l'avversario.
Ma per vincere sei portata a darti da fare per le tue compagne creando un'alleanza che va al di là del puro rapporto sportivo.
Quando è nato mio figlio Alessandro ho mandato subito un messaggio alle mie compagne e al mio matrimonio c'erano tantissime mie amiche, quasi tutte conosciute grazie allo sport.

Condividere con loro i momenti più importanti della mia vita è stato naturale. Cosa ti ha dato il softball a livello umano?
La cosa più importante è la consapevolezza che i risultati non arrivano per una questione di fortuna, se non si fanno delle rinunce o non ci si prepara in modo adeguato non si arriva a niente.
Nello sport si vince e si perde e, nel caso in cui un obiettivo non venga centrato, c'è sicuramente dispiacere ma non è mai una sconfitta: il fatto di uscire dal campo con la maglia sudata e la certezza di aver dato tutto per me è già una vittoria.
Mi viene in mente la recente delusione per non aver centrato la qualificazione alle Olimpiadi di Pechino.
All'ultimo out abbiamo perso in maniera inaspettata perché sapevamo di essere più forti, tutte eravamo incredule e disperate.
Poi ho alzato gli occhi e fuori dalla rete c'era mio figlio che mi salutava con mio marito…mi si è aperto il cuore e ho capito che anche se avevamo fallito un obiettivo importantissimo, nella vita c'è altro.
Prima di sposarmi e di avere Alessandro per me perdere una partita era una tragedia. Poi sono diventata grande e sono riuscita a trovare la giusta dimensione. Il softball è vicino al mio cuore ma non è più la priorità. Da quando hai avuto Alessandro, che oggi hai due anni, hai ricominciato a giocare dopo un anno di stop.

Come riesci a conciliare gli impegni con la squadra e con la nazionale e la famiglia?
Sono appena stata una settimana via con la squadra mentre Alessandro è rimasto a casa con mio marito e quindi in un certo senso li ho un po' "messi da parte".
Il softball è importantissimo, è vicino al mio cuore e farà sempre parte della mia vita, ma da tre anni a questa parte le mie priorità sono cambiate.

Ogni genitore si augura il meglio per i propri figli, in ambito sportivo indirizzerai Alessandro verso determinate scelte o lascerai che assecondi le sue attitudini?
Tutti ci dicono che diventerà un topo da biblioteca!!! A parte gli scherzi, mio marito e io pensiamo di fargli provare un po' tutto e poi sarà lui a scegliere.
Mi piacerebbe facesse nuoto, perché io, nonostante sia laureata in Scienze Motorie, non ho un bellissimo rapporto con l'acqua e quindi in cuor mio vorrei che Alessandro affrontasse le paure della mamma.
Ma sono certa che non lo indirizzeremo e non lo forzeremo in alcun modo lasciando che segua la sua strada.

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