mercoledì 31 dicembre 2008

Denise Karbon guida la Valanga Rosa

Un po' Heidi, tenera e determinata, un po' Frankenstein, per via delle infinite operazioni subite. E dietro di lei le altre.
Lei, Denise Karbon, si definisce "cannibale", per come è famelica nel divorare, specie in rimonta nella seconda manche del gigante, la sua specialità, le avversarie che la precedono, i secondi che le dividono.
I suoi agiografi, numerosissimi da quando è diventata famosa con quattro vittorie consecutive, la descrivono – anche senza precisarlo – come una Heidi al maschile e un Frankenstein al femminile.

Denise è piccola, 160 centimetri per 60 chili, cifre ufficiali ma forse abbondanti, ha età da donna ma sorride da ragazzina graziosa, non soltanto quando vince una gara di Coppa del mondo e sale sul podio con in mano un assegno da 24.000 dollari, è dedita alla coltivazione sincera, naturale dei buoni sentimenti, delle buone usanze.
Altoatesina nata a Bressanone il 16 agosto del 1980, vive a Castelrotto col papà maestro di sci e la mamma ex parrucchiera, nella casetta di famiglia, sogna una casetta sua, col marito che forse sarà Ronald Fischnaller bravo nello snowboard.
Ama il silenzio delle vette, specialmente all'alba vissuta da sveglia in qualche rifugio, il profumo dei boschi dopo la pioggia: lo dice in un italiano appropriatissimo, usando parole d'amore vero per questo suo mondo.
Denise Karbon nello slalom gigante del 5 gennaio nella Repubblica Ceca. Denise Karbon nello slalom gigante del 5 gennaio nella Repubblica Ceca. È ragioniera e guardia di finanza, ma le sue attività principali sembrano essere, oltre allo sci, ricamo e cucina.
Heidi al maschile per la determinazione quasi violenta con cui ha voluto diventare campione di sci, e se vogliamo anche perché da maschiaccio snobba le caprette, e delle mucche ha addirittura quella che lei definisce una colpevole paura.
E le canzoncine che ama sono quelle dei pop singer e dei rapper tedeschi. Dodici volte in sala operatoria Denise ha patito, da quando aveva 13 anni e già vinceva le gare delle bambine, una serie di infortuni da sollecitare la chirurgia ortopedica più moderna e "creativa" nelle operazioni, frankensteiniane appunto, di aggiustatura, ricostruzione, sostituzione delle ossa, dei tendini.
Tre volte operata alle ginocchia, due volte nel gesso per fratture alle gambe, e persino una placca sul braccio per un osso rotto contro un paletto.
Dodici volte in sala operatoria, compresa un'anestesia per un osso di pollo in gola. Ha detto, dopo una frattura al perone:
"Di fronte al ginocchio da ricostruire, questa è una bazzecola."
E anche:
"Soltanto quando ricamo non rischio di farmi male."
È credente, sgrana spesso il rosario. Scia da quando aveva tre anni, vince da quando ne aveva sette, a Natale ha messo sugli sci il figlio di suo fratello Martin, David, che non sa ancora camminare ma già scivola sulle nevi.
Denise ha pure un altro fratello che si chiama Pirmin come Zurbriggen, campione svizzero idolo di suo padre.
E Peter Fill, azzurro forte, è suo cugino. In primo piano, da sinistra, Denise e Nicole Gius, dietro di loro Manuela Moelgg e Camilla Alfieri, la rediviva "valanga rosa".
In primo piano, da sinistra, Denise e Nicole Gius, dietro di loro Manuela Moelgg e Camilla Alfieri, la rediviva "valanga rosa". Quattro vittorie consecutive in Coppa del mondo, già a fine 2007 uguagliata Deborah Compagnoni alla sua prima grande stagione.
Denise ha ammirato Deborah, è amica di tutte le sue compagne di squadra, anche quelle che hanno vinto un atomo rispetto a lei e si danno arie.
È allenata dallo svizzero Michael Bont, allenatore pure della finlandese Tanja Poutiainen, forse la sua rivale massima.
Ha girato il mondo, d'estate cercando la neve sino in Patagonia (il rosario viene da Ushuaia), ma Castelrotto è la sua capitale del pianeta.
Ama il calcio, conosce Totti, segue la Ferrari. Nessun esperto di sci se l'aspettava così forte: vero che nel 2004 aveva preso l'argento mondiale nel gigante, ma la sequenza dei suoi infortuni era poi stata tale da far pensare cosa miracolosa il fatto che lei potesse ancora sciare a livello agonistico, niente di più.
Deborah Compagnoni aveva anche lei infilato una serie di disgrazie fisiche, persino più inquietanti, nel senso che c'erano malattie sottili anziché fratture clamorose, ma Denise Karbon era stata colpita nelle bielle, negli ingranaggi della sua macchina umana.
La rivincita delle donne Nessun esperto di sport, non solo di sci, poteva pensare che il nostro settore femminile alpino, da anni in disarmo, senza neanche i soldi per le tute nuove, e assistito poco da una Federazione indebitata, di botto si potesse fare così forte (con Denise anche Chiara Costazza – un successo in Coppa –, Nicole Gius, Manuela Moelgg e l'ex diva Karen Putzer), vitalizzato da un ex discesista del genere gladiatorio come "Much" Mair, psicologo della semplicità.
Denise esulta dopo una vittoria. Denise esulta dopo una vittoria. Nessun esperto di sociologia e di antropologia poteva pensare che la donna italiana in pochi anni sapesse diventare così brava nello sport, in tutto lo sport, senza farsi maschia con ogni mezzo, anche con la chimica, senza dover chiedere alla natura centimetri, muscolacci, frequentazione della violenza atletica.
Impreparati, adesso non dobbiamo salvarci nella comoda oleografia di Denise, non dobbiamo approfittare della sua mitezza nel non rivendicare niente da nessuno, neanche dal destino, per usarla come simbolo.
Noi ormai pensavamo a una certa donna nuova per un certo sport moderno, ed ecco Denise che è uguale alle ragazze di una volta, alle donne della montagna, alle eterne Heidi, che però ci sanno fare eccome.
Gian Paolo Ormezzano

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