Era una rarità per la boxe italiana. Aveva il pugno da knock out, merce rara dalle nostre parti. E così aveva vinto un'Olimpiade, quella di Seul 1988, mettendo giù quasi tutti i suoi rivali. Li aveva stesi, ridotti alla resa, come aveva fatto con la bilancia. Arrivato in Corea per una serie di fortunate coincidenze (la Federazione non aveva previsto la sua partecipazione, poi un altro azzurro si era fatto male e lui l'aveva sostituito), aveva combattuto da peso piuma.
Impresa impossibile, pensavano gli altri. Vinco l'oro, pensava lui. Una dieta pazzesca, una serie di match entusiasmanti ed era arrivato dove voleva. Aveva pugno Giovanni, ma aveva anche la testa. Il professionismo non era da affrontare a cuor leggero. E così lui aveva fatto. Prima con Silverio Gresta, poi con Elio Ghelfi e nella storia dei trionfi finali con Salvatore Cherchi.
Ed era arrivato due volte al mondiale. Prima nei leggeri, poi nei superleggeri. Un'unica macchia, il match contro Julio Cesar Chavez. Era la sfida che avrebbe potuto cambiare il volto del pugilato italiano. Ma Giovanni non era riuscito a combatterla al meglio. Una serie infinita di rinvii e lo stress che cresceva avevano generato l'incontro meno cruento della sua carriera sul ring di Las Vegas.
Lui, campione che dava un segno speciale ad ogni match, usciva da quel mondiale senza segni e con poca gloria.
Ma Giovanni non è stato certo solo quella notte nel deserto del Nevada. É stato un grande. Ha combattuto tante guerre e le ha vinte. Ha battuto Altamirano, Pendleton, Rivera, Fuentes. É andato anche a caccia di quel terzo mondiale che nessuno nella storia italiana aveva mai conquistato.
Ma non ce l'ha fatta. Uscito dalla boxe, Giovanni non era però riuscito a staccarsene. Nonostante la travolgenge passione che provava per Silvia, la splendida modella slovacca che aveva sposato.
Nonostante l'amore per i suoi tre bambini. Il pugilato era sempre in cima ai suoi pensieri. E si era così lasciato coinvolgere nell'organizzazione, nella creazione di una società, nell'ennesimo progetto di rilancio del pugilato italiano.
Lo ricorderemo sempre con quel sorriso sornione. Ti guardava e ti giudicava, Giovanni. Sembrava facile entrare nel suo mondo, era invece difficilissimo. É stato il campione della gente per tutta la sua carriera, durata 18 anni, dall'oro olimpico all'ultima sfida sul ring del Palalido contro Frederic Klose nel 2006.
Un picchiatore che affascinava le folle. É stato l'ultimo eroe di una boxe che va lentamente sparendo. Quell'impatto frontale sulla tangenziale di Voghera, dove viveva, ha chiuso la storia di un uomo che non ha regalato solo un oro olimpico e due mondiali professionisti all'Italia della boxe.
Le ha anche dato dignità, quella che lui invocava per chiunque salisse su un ring. E per questo si è battuto sino a ieri. Riposa in pace, Giovanni.
di Dario Torromeo
Corriere dello Sport Giovedì 26 Marzo 2009
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