domenica 24 maggio 2009
Zelimir Obradovic: un mito del basket in panchina
Zelimir Obradovic ha tremato, per venti minuti, ed alla fine la vittoria è stata ancora più bella. Ma Ettore Messina e il suo Cska non potevano finire così la loro quarta finale europea consecutiva. Non potevano essere realistici quei 23 punti di distacco che, poco più che a metà gara, separavano le due squadre, il Panathinaikos avanti a bombardare il canestro russo con triple a ripetizione e il Cska all'angolo a scuotere la testa, incapace di reagire.
Poi la reazione, inevitabile, è arrivata e Zeljko Obradovic ha cominciato a sudare, e a tremare. S'è visto bene in tv quel suo volto arrossato dalla tensione, i pochi capelli scomposti alla ricerca di qualche diavoleria tattica che fermasse il recupero dei russi.
Che però si è fermato sull'ultimo attacco e sull'ultima difesa dei greci. I 23 punti s'erano ridotti ad appena due: sufficienti per tagliare il traguardo del sesto titolo europeo per il Panathinaikos (quarto con Obradovic alla guida), settimo trionfo personale per Zeliko, quarantanove anni compiuti il 9 marzo scorso, alle spalle una vita di avventure.
Lo ricordiamo all'esordio da coach, nella Final Four di Coppa dei Campioni (allora si chiamava così e allineava allo start solo la squadra campione di ogni Paese) a Istanbul, nel 1992.
Ottimo giocatore, carriera frenata da un anno di carcere: un incidente stradale, un passante investito e ucciso per sua colpa.
Chiunque altro ne sarebbe uscito decisamente male, Zelimir, detto Zeljko, ha invece cercato nel suo sport il riscatto tentando - e riuscendo - di cancellare nella gente il ricordo di quel tragico evento a suon di risultati.
Era entrato nel Partizan nel 1986, dopo sei stagioni nella squadra del- la sua città, il Borac di Cacak, fratello maggiore di una nidiata composta da Divac, Djordjevic e Paspalj.
Cinque anni più tardi, dopo essersi fatto le ossa ad allenare le minori del club più prestigioso di Belgrado, il passaggio in panchina, subito trionfale perchè il Partizan vinse scudetto e coppa jugoslavi e poi, a Istanbul, sorprese tutti eliminando la Philips Milano e andando a vincere la finale (di un solo punto) con il Badalona.
A 32 anni appena compiuti, esattamente come Bogdan Tanjevic nel 1979 con il suo Bosna Sarajevo (in campo Pesic, Delibasic, Radovanovic, Varajic) diventava il più giovane coach europeo a conquistare una Coppa dei Campioni: questione di giorni, Boscia è infatti nato il 13 febbraio 1947.
Ma, ancora più importante, Obradovic è stato il coach che ha donato alla Serbia il primo e, per ora, unico titolo europeo per club dopo le vittorie dei bosniaci di Tanjevic e dei croati del Cibona di Novosel e della Jugoplastika di Kukoc e Radja.
Per Zeljko fu la prima grande affermazione personale. Il Badalona si ricordò di lui e della beffa di Istanbul un anno più tardi: in Spagna Obradovic portò subito la Joventud a vincere la Coppa dei Campioni per accettare immediatamente dopo l'invito del Real Madrid e donare anche al club madrileno la gioia della Coppa maggiore, l'ultima vinta dal Real.
Strada spianata per Zeljko: due anni a Treviso orfana di Mike D'Antoni, con la soddisfazione di prender parte a Parigi all'Open di Michael Jordan, ma senza grossi risultati.
Infine l'invito di Atene e del Panathinaikos, da dove non si è più mosso. Signore di Atene - Dieci anni di vittorie lo hanno eletto re di Atene. In Grecia sono passati tanti campioni e due in particolare ne ricordiamo con affetto: Nando Gentile, protagonista del successo del 2000 a Salonicco, e Bodiroga, protagonista della vittoria di Bologna nel 2002, la prima di tre finali sempre vinte contro Ettore Messina.
Obradovic ha anche guidato la nuova Jugoslavia tra il 1996 e il 1999 a un argento olimpico, un oro mondiale e un oro e un bronzo europei.
Quando è tornato sulla panchina dell'ormai Serbia & Montenegro, non ha avuto altrettanta fortuna: male ai Giochi di Atene, malissimo agli Europei di Belgrado.
Si consola con il "suo" club che sta guidando verso il 9° scudetto della sua gestione (secondo posto solo nel 2002) usando i sistemi di sempre: allenamenti durissimi, esperienza profonda, leadership riconosciuta, soprattutto una disciplina ferrea, da vero sergente.
Che abbia ragione lui lo dimostrano i risultati.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento