sabato 27 dicembre 2008

Campioni anche se quarti

La Vita ai Piedi del Podio

Non sempre si può vincere.
Ma c'è un modo più crudele degli altri di perdere una gara, ed è arrivare quarti.
Abbiamo chiesto a chi c'è passato che cosa si prova.

C'è chi lo chiama legno, chi latta, chi cartone.
Ma è sempre un modo di dare materia a qualcosa che non ne ha, a una medaglia che non c'è.

È l'eufemismo che si usa per dare forma alla delusione dei quarti, privi di diritto di cittadinanza nello sport che benedice la solitudine dei numeri primi, compiange i secondi e ricorda i terzi.
E poi basta.
Il quarto non è dato, eppure il quarto posto c'è e quasi sempre fa un po' male.
Anche il secondo per la verità, ma almeno chi si piazza può vedere il bicchiere mezzo pieno: l'argento vinto invece dell'oro perso.
Il quarto, invece, scompare inghiottito dall'oblio.
E se per caso il suo "non risultato" si fa largo in un titolo, finisce sempre accompagnato da un avverbio ingrato: "soltanto".
Soltanto quarto, come se fosse facile arrivare a fare un mestiere tra i quattro migliori al mondo e poi stare a guardare la festa altrui.
Roba da istituire un risarcimento a nome degli sconfitti appena appena, troppo poco ultimi per la consolazione delle beatitudini e per la maglia nera che fece la fortuna del ciclista Malabrocca.
L'ha fatto almeno idealmente l'associazione "i valori dello sport", dedicando ai quarti il suo premio 2008, non per caso nell'anno di Pechino dove le medaglie di legno sono state una pioggia.
Un bel modo di dire che non si può vincere sempre.

Giovanna Trillini, delusa dopo una finale individuale di fioretto emotivamente tesissima.
Giovanna Trillini, delusa dopo una finale individuale di fioretto
emotivamente tesissima.
Il più esperto, almeno in materia di confronti, è Marco Meoni, pallavolista in forza a Piacenza: in maglia azzurra ha conosciuto tutte le sfumature cromatiche della delusione.
Era in campo ad Atlanta quando l'Italia favorita arrivò seconda contendendo l'oro all'Olanda fino all'ultima palla al quinto set.
C'era a Sydney dove gli azzurri arrivarono terzi e a Pechino dove hanno rimpolpato la riserva di legna per l'inverno, perdendo la "finalina".
"Tutto dipende dalle aspettative"
, spiega Meoni, ripensando alle sue avventure olimpiche.
"Ad Atlanta eravamo partiti per vincere.
A Sydney invece non eravamo favoriti e il bronzo, quando c'è la finale terzo-quarto, ti lascia almeno il gusto di una medaglia vinta.
Se arrivi quarto rimani male, ma sei cosciente che la distanza dal primo non è pochissima.
Per questo il secondo posto di Atlanta è il mio risultato più prestigioso e insieme la mia più grande delusione: senti che hai dato alla pari del primo, giocando solo qualche punto meno bene, resta il rimpianto dell'oro sfuggito di un soffio.
Alla storia passa soltanto il primo: è l'aspetto crudo dello sport."
E forse il suo fascino, il senso della sfida che ti fa centrare il bersaglio, giocandoti la tua scommessa nel solo giorno utile.

Ne sa qualcosa Alessio Boggiatto, nuotatore di Moncalieri, campione del mondo giovanissimo a Fukuoka e poi collezionista impareggiabile di medaglie sfiorate:
"Si prova un misto di sentimenti, metà rabbia e metà delusione, specie se arrivi quarto per tuo demerito. A me è successo tante volte."
Davvero ci si può giudicare tanto severamente?
"Sì. Se fai un errore e poi continui a ripeterlo, sì. Sono un esperto.
A Madrid ho virato secondo e toccato quarto per un centesimo, avevo molto da rimproverarmi.
A Pechino è stato diverso: avevo davanti tre extraterrestri, sono stato il primo degli umani e posso essere soddisfatto di me.
Sempre di legno si tratta, ma se tu dai il massimo e i tuoi avversari fanno meglio, che ci puoi fare? a volte mi chiedono come ho fatto a continuare a nuotare dopo tante delusioni, rispondo che la nostra è una bella vita: fai fatica, sì, ma il turno di notte in acciaieria è un'altra faccenda."
Però i suoi sette legni (tra Europei, Mondiali e Olimpiadi) sono un bel primato, anche di forza per ripartire.
Ricordano il supplizio di Tantalo cui Dante ha condannato Forese Donati, nel girone dei golosi: affamato e assetato a guardare un albero da frutto e una fonte d'acqua pura senza poterli toccare.
Ma si trattava di Purgatorio, con la speranza di guadagnarsi la gloria del Paradiso.

Non tutti i Forese dello sport hanno, invece, futuro davanti.
Il tempo conta, se è corto acuisce l'amarezza.
Giovanna Trillini, a 38 anni, dopo una collezione di medaglie per cui ci vorrebbe un museo, a Pechino ha visto la sua ultima occasione olimpica svanire davanti a un arbitraggio nervoso, in cui i cartellini rossi volavano come coriandoli, con una frequenza insolita in una manifestazione internazionale:
"Lo sport dice che devi accettare il verdetto comunque sia e il quarto posto mi dice che sto ancora tra le prime al mondo.
Ho avuto l'impressione che l'arbitro fosse in difficoltà e si difendesse sventolando ammonizioni, ma dopo quattro anni di lavoro perdere con la complicità dell'inesperienza altrui scoccia un po'."
Nell'immediato Giovanna Trillini, dopo il legno del fioretto individuale, lasciò il suo posto in squadra alla compagna Ilaria Salvatori:
"Era giusto per lei, l'ho vista carica, ha meritato la finale e se l'è giocata bene."
Il futuro? "Non so ancora, sto valutando".

Quando la trasparenza del giudizio non è cristallina, capita di azzuffarsi con la voglia di mollare: "Dopo Pechino", si rammarica Andrea Coppolino, quarto agli anelli, con la complicità di una giuria a detta di molti un po' troppo filocinese,
"ho fatto fatica a tornare in palestra.
Quegli esercizi da ripetere alla ricerca della perfezione avevano perso significato.
Non è che abbia pensato di lasciare, ma mi dicevo: "Come faccio ad andare avanti se non ho voglia?".
Nella gara più importante della mia carriera ho dato il meglio, non ho sbagliato e sono stato derubato. E non ho neanche tanto tempo davanti per rifarmi.
Ora mi sto riprendendo: vado avanti giorno per giorno. Quest'anno ci sono gli Europei a Milano. Se arriverò a Londra 2012 sarà un passo per volta."

Giusto a un passo da lui, a Meda, si allena Igor Cassina, suo compagno di squadra in Nazionale, come lui legno a Pechino, ma il suo è un legno diverso, a suo modo pregiato.
Cassina l'oro l'ha già vinto ad Atene.
"Non posso prendermela con nessuno", dice Igor."Ho sbagliato io.
Se avessi fatto tutto perfetto, avrei vinto una medaglia.
Ho eseguito bene i passaggi difficili e poi ho preso troppo slancio e una sbavatura mi ha tolto due decimi di punto.
Però ho ritrovato le mie sensazioni.
Do a questo quarto posto un significato positivo.
Dopo una caduta in gara nel 2006 ho cominciato a provare paura.
Pechino mi ha detto che anche senza medaglia sono tornato quello di un tempo, anche se a trent'anni una delusione pesa più che a venti."
e poi, i numeri che sembrano sempre assoluti sono invece relativi anche nel quotidiano, non si tratta di matematica.


"Non tutti i quarti posti sono uguali"
, racconta Antonio Rossi, portabandiera dell'Italia, capitano di lungo corso della canoa a Pechino,
"questa è stata la mia prima Olimpiade senza medaglia e non posso dire di non averla desiderata: ma sono arrivato a fine gara senza fiato, di più non potevo fare e ho dimostrato che a 40 anni sono ancora con i primi.
Dallo sport ho avuto molto e ho provato a spiegare ad Alberto Ricchetti, il più giovane del mio equipaggio, che per lui il nostro quarto posto non è una sconfitta ma un punto di partenza per cominciare a vincere.
E se anche non dovesse farcela, i giorni dell'Olimpiade resteranno tra i più belli della sua vita.
Non lo sa ancora, ma un giorno lo capirà."

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