Due anni fa assistette da casa, davanti alla Tv, alla cavalcata trionfale delle sue compagne. Poi una volta per l'esclusione tecnica, un'altra per la malasorte (a Roma nel 1999 prese una pallonata su un occhio in allenamento a pochi giorni dal via, non giocò mai) ha incassato più amarezze che soddisfazioni ( medaglia d'argento nel 2001).
Sbarcò in serie a a 14 anni, in Nazionale arrivò giovanissima, quando aveva appena 16 anni. Era la bimba prodigio del volley femminile, la ragazza copertina di una pallavolo al femminile che cominciava allora a conquistare spazio e visibilità, esuberante in campo e nella vita. Ha scritto un libro, "La melagrana", dove si raccontava in prima persona, ha sfilato come modella, ha posato per calendari. Decise di andare a giocare nel campionato brasiliano arricchendosi con l'esperienza che solo giocando da straniera si può assimilare. Come la maggior parte delle donne ha un debole per le scarpe, oltre alla passione per la pittura che le consente di avere appesi in casa i suoi dipinti.
Ora che ha superato la boa dei trent'anni, dispensa pillole di saggezza raccontando come è cambiato il suo modo di vivere la pallavolo, le vittorie e le sconfitte.
"Le farfalle nella pancia prima di certe partite le sento ancora, ma dopo i primi punti passano - racconta Francesca Piccinini - Però rispetto a diversi anni fa ho imparato a gestire diversamente ciò che avviene dopo una gara andata male. Forse è l'esperienza, forse la maturità, non so. Perdere mi sembrava la fine del mondo, mi colpevolizzavo troppo. Ora analizzo meglio le cose, sono più oggettiva ."Ha imparato a farsi scivolare addosso con maggior distacco le delusioni e le amarezze sportive.
" Sì, in fondo capisci che si tratta di una partita di pallavolo. I drammi della vita sono altri ".Racconta che durante la stagione, quando la Foppapedretti Bergamo deve affrontare partite importanti e gioca in casa, cerca di non pensare alla pallavolo in maniera ossessiva ed ossessionante. Indovinate come si avvicina al fischio d'inizio? Sbrigando le faccende domestiche in casa.
"Mi aiuta a non pensare troppo. Anche in Nazionale mi capita, pure in una stanza d'albergo c'è sempre qualcosa da riordinare o pulire."Da quindici mesi è diventata zia, e quando parla della nipotina Zoe gli si illuminano gli occhi di tenerezza. Ha fiducia in questa Italia, che oggi comincia contro l'Azerbaigian la corsa verso le semifinali. La squadra le piace:
"é un buon gruppo, è umile, ha tanta voglia di lavorare, di migliorarsi. Ed ha diverse giovani. L'affiatamento c'è. La pressione si sente però siamo consapevoli della nostra forza e vogliamo goderci questo europeo. L'Olimpiade di Pechino andata male? Capita di perdere, non siamo delle macchine. Siamo umane."Anche se si parla del rapporto tra giocatrice e tecnico, tocca il tasto del rapporto umano:
"Perchè prima di essere giocatrici siamo persone"
Corriere dello Sport Martedì 29 Settembre 2009
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