La sua voce. Sembrerà strano, ma appena abbiamo saputo della morte di Alberto Castagnetti, ci è sembrato di udire quella voce. Inconfondibile, cantilenante, ironica. Alberto si portava dietro un'infanzia ricca, non solo di emozioni. Maria, la mamma, aveva fatto 12 al Totocalcio in una domenica senza il 13. Una vincita di sei milioni che sommati allo stipendio del marito, Mario dirigente di una casa tedesca di trattori, erano un bel capitale per l'Italia alla fine degli anni Quaranta.
Castagnetti però non si era adagiato su quella realtà, aveva preferito lottare. E aveva vinto tanto. Aveva cominciato mettendo su una squadra con Felotti, Guarducci e Rampazzo. Poi, se ne era andato a Brescia per far diventare ancora più grande Giorgio Lamberti. Campione e primatista del mondo sui 200 sl. Nel nuoto di casa nostro quella era roba con cui potevi vivere di rendita per un'intera carriera. Ma lui era convinto che lavorando si poteva migliorare, perchè accontentarsi? In quegli anni, parlare, raccontarsi, gli sembrava una perdita di tempo. I risultati avrebbero avuto il grande merito di farlo sorridere di più.
Amava il nuoto, l'aveva praticato da atleta sfiorando la finale olimpica ai Giochi di Monaco 1972 con la 4x100 sl, fuori per soli tre centesimi. L'acqua era stata il suo elemento preferito. Pallanotista, nuotatore, quindi allenatore.
Due volte, ci aveva confessato in una delle nostre chiacchierate lontani dalle piscine, si era stupito di quello che avevano fatto i suoi allievi. La prima ai Giochi di Sydney 2000, quando Domenico Fioravanti era andato a vincere l'oro nei 200 rana. L'altra quando Federica Pellegrini aveva realizzato il suo primo mondiale sui 400 sl. Quella volta, davanti alla gioia di Federica, l'uomo di ghiaccio aveva pianto.
Fioravanti e Pellegrini, due nomi magici nella storia di Alberto. Con Domenico, nuotatore di un talento sconfinato e uomo di grande sensibilità, il legame era davvero forte. Il piemontese gli ha regalto due vittorie olimpiche, il sogno di tutti quelli che si tuffano in piscina. Federica aveva con Castagnetti un rapporto complesso, il loro era un vero e proprio scontro generazionale. Non tutto quello che lei faceva lontana dalla piscina trovava l'approvazione del coach. Ma senza di lui non sapeva stare. Lo seguiva sacrificandosi in allenamento, come se fosse in una
finale olimpica. Lui la guardava e sorrideva. Diceva di non avere mai avuto fra le mani una così forte. Era vero, con lei ha vinto l'oro olimpico, due ori e dieci primati mondiali. Aveva scoperto il nuoto in una piscina per bambini in Louisiana, nei primi anni Settanta. Era laggiù per seguire la prima moglie. Patricia Peyton, ballerina classica. Da lei avrebbe avuto due figlie: Olivia e Linda. Poi, ci sarebbe stato il divorzio e il secondo matrimonio con un'italiana, anche lei ballerina classica. Isabella Sollazzi, la seconda moglie. Gli ha dato due figlie: Veronica e Virginia. Di lei Alberto diceva: " é un fenomeno " . Ci raccontava, una volta a tavola mentre mandavamo giù un boccone di bollito, che era andata in pensione e si era messa a studiare di notte prendendo il diploma del liceo scientifico. " Un fenomeno ".
Il nuoto era il secondo grande amore di Alberto. C'era la musica lirica davanti a tutto, assieme al rimpianto di non aver mai realizzato il sogno di diventare tenore come suo fratello. Quella voce non era certo la più adatta per la musica. Si era consolato mettendo su un'incredibile collezione personale: oltre cinquemila dischi.
L'altra passione di Alberto, e della moglie Isabella, erano gli animali. Due cani e otto gatti riempiono la loro casa a Verona. Tutti trovatelli. Tutti amati allo stesso modo. Un uomo di passioni intense il nostro amico. A 66 anni se ne è andato in silenzio, lasciando il nuoto senza il suo papà. Perchè Castagnetti questo mondo l'ha cambiato. Gli ha regalato trionfi, popolarità, rispetto.
La voce. L'accento veneto, la risata provocatoria dopo una battuta, i giudizi sferzanti, la voglia continua di migliorare. Dopo Londra 2012 avrebbe forse lasciato il nuoto per dedicarsi a una nuova sfida. Ci aveva raccontato di un'Accademia del tennis, stile Bollettieri. Qualcosa di rivoluzionario da curare con John Newcombe. Un altro sogno. Uno dei pochi che non ha potuto realizzare.
di Dario Torromeo
Corriere dello Sport Martedì 13 Ottobre 2009
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