Lo spagnolo esordì con la Minardi, ma fu subito lite per averlo Due titoli di fila e Schumacher capì che era meglio smettere
Non si è mai abituato a sentirsi differente, però ha imparato ben presto ad accettare che gli altri lo considerassero tale. Alonso è sempre stato il più giovane ad arrivare da qualche parte, il primo a vincere qualcosa, e proprio per questo i compagni di guida lo chiamavano Nano, così piccolo e così secchione e così avido di prendersi tutto. Lui comunque non si è mai fatto un complesso del pensiero altrui e ha continuato a lasciarsi trascinare dalla sua innegabile bravura come se la considerasse un destino. La Formula 3000 allora era la prova d'ingresso all'automobilismo grande e lui la scavalcò quasi senza guardarla, una vittoria a Spa e fu tutto.
Tanto il destino lo aveva già preso per la collottola e trascinato dove gli piaceva. La Ferrari lo aveva messo sotto sorveglianza, ma come sempre accadeva in questi casi arrivò prima Gian Carlo Minardi con la sua squadretta vivace fatta apposta per scommettere sui giovani.
Quell'episodio del 13 settembre 2000 è talmente famoso da annacquarsi nell'aneddotica, Fernando che insieme con altri ragazzini eccitati scopre la Formula 1, Rubens Barrichello che è lì ad allenarsi con la Ferrari e li saluta bonario prima di mettersi a lavorare, Alonso che dà un'occhiata a dove frena il brasiliano e lo imita. Il capo del team Cesare Fiorio lo richiama urlando ai box e lui perplesso gli chiede dove abbia sbagliato. Sei impazzito? Continua a gridare Fiorio, se appena cominci vai così forte finirai per fare del male a te, e possono essere affari tuoi, e alla macchina, e quelli sono affari miei. Alonso replica di avere percorso un paio di giri in tutta tranquillità e Fiorio capisce di essersi imbattuto in qualcosa di mai visto.
Al termine della giornata Fernando si è assicurato il debutto in Formula 1 per l'anno successivo, la Minardi i diritti sulle sue prestazioni per i successivi dieci campionati e la Ferrari la soluzione di un problema, perché, pensano a Maranello, abbiamo trovato qualcuno che allevi il pupo per noi. Ma Flavio Briatore ha appena messo i piedi in Renault che intuisce il potenziale gigante nascosto nel Nano. Todt tenta l'anticipo, dialoga con Alonso, però quando giunge il momento di firmare il contratto lo spagnolo non si presenta.
Il capo di Maranello non lo dimenticherà mai più e l'attrazione fatale tra Fernando e Ferrari resta sospesa per anni come un amore di guerra.
Alonso per il 2002 si adatta a collaudatore delle macchine di Jenson Button. Nel 2003 torna il Nano, il differente, il secchione, il più giovane di sempre a fare qualsiasi cosa, in Malesia la pole, in Ungheria la vittoria, roba che nessuno spagnolo aveva mai raggiunto; e nel mezzo, a Barcellona, innesca la frenesia collettiva di un Paese inseguendo per tutta la gara Michael Schumacher. Dire che si rovina la vita sarebbe sciocco: però attraversa un check- point senza ritorno. Afferma di non riuscire più a sostenere gli assedi di tifosi e giornalisti spagnoli e si rifugia prima in Inghilterra e poi in Svizzera.
La fine di un'epoca e' il periodo del dubbio e del disincanto. Nel 2004 soffre Trulli, peraltro senza particolari attriti personali, e Trulli prima della fine della stagione deve passare alla Toyota. Nel 2005 gli danno Fisichella, veloce ed esperto ma, pensano, sazio. Giancarlo vince la prima gara in Australia e Alonso è terzo, poi il romano tra guasti e inconvenienti bizzarri perde di vista il compagno. Già alla seconda gara, in Malesia, Alonso è uscito dalla sua crisi di crescita. Chiude l'anno con sette vittorie e il titolo mondiale, annienta la lunga signoria di Michael Schumacher diventando eroe ultranazionale, simbolo del riscatto di una generazione.
Schumacher lo guarda, lo incrocia, lo insegue e ne viene inseguito e capisce che il suo tempo è passato. Nel 2006 a Monza il Kaiser dichiara chiusa la sua carriera. Al suo posto in Ferrari non arriva Alonso, tagliato fuori dai rancori di Todt, bensì Raikkonen. Fernando, sin a quel momento circondato da un'aureola di giovanile santità, diventa l'uomo sotto i riflettori e alla luce violenta l'aureola scompare.
I lati oscuri di Alonso cominciano a emergere, semplici ombre malinconiche all'apparenza, il giorno stesso del primo Mondiale. Ho raggiunto l'obiettivo, dice, ora devo inventarmene altri. Non sono solo parole. Il Mondiale 2006 è appena cominciato e già si sa con certezza che Alonso l'anno successivo correrà per la McLaren. Perché quella è la pietra angolare della Formula 1, spiega, mentre con la Renault non sai mai se venga o vada, resti e in che misura.
Vince il secondo titolo, battendo Schumacher come l'anno prima aveva battuto Raikkonen, prova la McLaren per una giornata e in una relazione di quattro pagine illustra ai tecnici come rifare la macchina, consigli graditi, e al capo Ron Dennis come gestire meglio la squadra, consigli sgraditi.
Gli mettono vicino Hamilton e gli sta bene: lo vede come un allievo. Ma l'allievo ascolta poco, se vogliamo ha anche poco da imparare, e inglese com'è affascina la squadra. A Montecarlo con aria saggia e affranta commuove i connazionali, che affermano convinti: gli hanno rubato la corsa per regalarla ad Alonso. A Indianapolis è Fernando a recriminare su una precedenza negata. A Budapest in qualificazione il dispetto è reciproco: rozzo quello di Hamilton, che non rientra ai box quando stabilito dagli accordi, crudele quello di Alonso, che prolunga la sua sosta ai box inchiodando il compagno quei cinque secondi sufficienti a impedirgli l'ultimo giro veloce.
Fernando viene penalizzato e prima della gara grida a Ron Dennis: mi vuole la Bmw, scioglimi dal contratto. La risposta è no. Ma nel frattempo è esplosa la spy story, c'è una talpa a Maranello che scava e consegna quanto ha scavato alla squadra rivale. Hamilton, angelico, giura di non saperne nulla. Alonso, diabolico, sa e parla. La sua vendetta si completa in Brasile, quando inchioda gli occhi roventi su Hamilton, lo irretisce, lo spinge a sbagliare. Lewis perde il titolo per un punto e sul podio il sorriso più ampio non è quello del nuovo campione Raikkonen, bensì quello di Alonso.
Il quale poi torna alla Renault e aspetta due anni che il vento cambi, che Todt se ne vada, che alla Ferrari si apra uno spazio. E quasi si brucia, sfiorato appena dallo scandalo dell'incidente volontario di Nelsinho Piquet che gli regala la vittoria nel 2008 a Singapore. Stavolta è lui a giurare di non sapere nulla, salva il suo passaggio alla Ferrari dove adesso lo aspettano come aspettano Massa, probabilmente un po' di più. Perché Massa è il presente e lui il domani, l'uomo della promessa, l'erede di Schumacher e il suo esorcista, una dose di placido realismo dopo l'inquietante candore di Raikkonen.
Corriere dello Sport
Venerdì 9 Ottobre 2009
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